L'esclusiva di Libero
Islam, il discorso inedito della Fallaci: "Loro ci ammazzano, noi chiediamo scusa"
Proponiamo ampi stralci del discorso che Oriana Fallaci tenne all’ambasciata italiana a New York nel febbraio 2006, dopo aver ricevuto un premio dall’allora presidente del consiglio regionale toscano Riccardo Nencini. Pochi giorni prima, scoppiò una rivolta fuori dalla nostra sede diplomatica a Bengasi. L’audio integrale con l’intervento della scrittrice sarà diffuso da Calderoli martedì alle 21, alla festa leghista di Albino (Bergamo). Se avessi accettato di fare questa cerimonia con molta gente, come avrebbe preferito fare Nencini, a questo punto direi un bel grazie e me ne andrei. Ma ho voluto che la cosa si svolgesse soltanto fra di noi e da dire ho assai di più che non la parola «grazie». Quindi datemi qualche minuto e ce la caviamo. State buoni a sedere e ora il discorsino ve lo faccio io, anzi ve lo leggo. Perché per misurare le parole - ché a improvvisarne volano come le foglie al vento - l’ho scritto. (…) Il discorsino lo incomincio dicendo che con i premi ho una ben scarsa dimestichezza (…) Non solo perché grazie a Dio di premi ne ho sempre ricevuti pochini, ma perché quando me ne hanno offerti li ho quasi sempre rifiutati. (...) È quasi comico dunque che nelle ultime settimane mi sia caduta addosso una inaspettata pioggia di premi. Quello milanese, cioè l’Ambrogino d’oro; quello romano cioè la medaglia d’oro conferita per la cultura da Ciampi e che con gran sorpresa di tutti feci ritirare da un augusto prelato (il rettore dell’Università Lateranense monsignor Fisichella); quello che presto e volentieri prenderò dalla Polonia e che è intitolato a un grande eroe della Resistenza (…) nonché un altro su cui al momento taccio perché non sono certa di volerlo prendere. Infine il vostro, che accetto con fierezza e con divertimento per un paio di motivi. Il primo è che sono fiorentina, toscana doc per generazioni e generazioni: la stragrande maggioranza dei miei ascendenti sono stati toscani sia da parte di mia madre che da parte di mio padre. (…) Amo appassionatamente la Toscana. Mi inorgoglisce troppo quello che ha dato al mondo nel campo dell’arte, della scienza, della letteratura, della politica insomma della cultura. E a ogni pretesto parlo e scrivo della Toscana (...). Però si tratta di un amore poco ricambiato. (…) La Toscana non è né è mai stata una mamma tenera e affettuosa. Quando ha un figlio o una figlia che la ama e la onora anziché amarlo e onorarlo a sua volta mostrando un po’ di gratitudine lei lo bistratta, lo perseguita, lo respinge. (…) Esattamente il contrario che oggi si fa con lo straniero che io chiamo l’invasore, cioè col musulmano. (…) Il secondo motivo è che l’Occidente rassegnato e sottomesso all’islam è complice del nemico. Quelli che io chiamo collaborazionisti mi hanno trasformato nel simbolo stesso dell’eresia, dell’infamia, della colpa, del peccato mortale da punire col rogo cioè con la morte civile. Quindi premiando la Fallaci dimostrate di non aver ceduto all’intimidazione. (...) Dimostrando insomma che avete coraggio e di questi tempi, tempi in cui il coraggio costa più caro del petrolio e la vigliaccheria si svende invece per pochi centesimi, trovare qualcuno che non cede alle intimidazioni è un grande conforto. Una ricchezza che è anche speranza, anche se ormai c’è poco da sperare. Per capirlo basta considerare la vigliaccheria con cui tanti italiani hanno reagito alle islamiche minacce e sommosse per le vignette sul profeta spadaccino e tagliateste. (...) Senza alcuna dignità, a ogni livello politico e istituzionale, le nostre presunte leadeship hanno offerto scuse al nemico mentre il nemico bruciava le nostre chiese e le nostre bandiere europee. Mentre assaltava e saccheggiava le nostre ambasciate. Mentre in Turchia, quella Turchia che i nostri califfi vorrebbero nell’Unione europea pardon nell’Eurabia al grido di «Allah akbar Allah akbar» un turco ammazzava con due revolverate alle spalle un prete intento a pregare nella sua piccola chiesa. Un prete che voleva il dialogo coi musulmani. Mentre a Londra un famoso sceicco sosteneva in televisione l’urgenza di sottoporre al giudizio di un tribunale islamico il danese colpevole d’averci fatto ridere sul proprio profeta spadaccino tagliateste, nonché la necessità di giustiziarlo secondo le leggi islamiche. Mentre a migliaia anzi a centinaia di migliaia nelle piazze dell’Iran, dell’Iraq, dell’Afganistan, della Siria, dell’Egitto, del Libano eccetera i figli di Allah berciavano alzando cartelli con la scritta «decapitare chiunque insulti l’islam». Mentre in Nigeria - e sempre al grido «Allah akbar Allah akbar» - un altro prete veniva assassinato nella sua parrocchia e con lui 38 cristiani venivano linciati, 240 mutilati. Alcuni in chiesa, dove pregavano come don Santoro. Altri per strada (...). Mentre a Bengasi succedeva ciò che sappiamo e anziché piangere sui nostri morti i giornali piangevano sugli 11 libici uccisi dalla polizia di Gheddafi durante l’assalto selvaggio al consolato italiano. Si è arrivati addirittura ad attribuire la responsabilità di quell’assalto selvaggio al ministro Calderoli. A imporne le dimissioni e ad annunciargli che sarebbe stato indagato anzi processato anche lui per vilipendio all’islam perché sotto la camicia abbottonata e sigillata dalla cravatta aveva messo una maglietta con la caricatura del suddetto profeta. Poi, per 15 secondi e 15 centimetri, aveva sbottonato la camicia e mostrato la maglietta in tv. «Colpa di Calderoli! Colpa di Calderoli!» anzi, colpa mia! Perché in un’intervista a Repubblica Calderoli ha dichiarato: «Io difendo la nostra civiltà, io mi associo a tutto quello che ha detto e scritto Oriana Fallaci». E per dimostrare che la colpa era ed è in realtà della Fallaci quel giornale ha fatto un titolo che dice: «Io e la Fallaci». Poi ha riferito a grossi caratteri: «La strage mi associa a tutto ciò che ha detto e ha scritto Oriana Fallaci». Come se ciò non bastasse, il Mattino di Napoli ha riportato l’intervista con un’italiana di Bengasi (...) che ha dichiarato che l’assalto era dovuto ai libri della Fallaci tradotti e venduti ahimè anche in Libia. Per sostenere le islamiche minacce, a Roma i Comunisti italiani e i Verdi e i Cobas hanno invece imposto un corteo esibendo una bandiera palestinese lunga 35 metri. (...) Hanno raggiunto la piazza cara alle camicie nere di ieri, cioè piazza Venezia, e qui hanno bruciato le bandiere americane e israeliane e poi si sono messi a berciare «10-100-1.000 Nassiriya». Autogol che l’insopportabile segretario dei Comunisti italiani ha commentato affermando: «Quei mascalzoni erano mercenari al servizio di Calderoli». Meno male che non ha detto: «Gente pagata dalla Fallaci».