L'inutile pubblicazione su internet
Selvaggia Lucarelli: le foto di Davide Bifolco usate come le teste mozzate dell'Isis
Chissà se ce la farete ad arrivare in fondo a questo articolo riuscendo a trattenervi dal decidere da che parte sto. Chissà se sarete in grado di tirarvi fuori da questo scempio indecoroso di fazioni e trincee in cui qualsiasi giudizio sulla vicenda di Davide e del carabiniere che gli ha sparato, diventa un’ammissione di appartenenza a questa o quell’altra tifoseria. Da una parte quelli che «gli sbirri, acab, guardie bastarde, stato assassino, poliziotto infame», dall’altra quelli che «napoletani terroni, conniventi, omertosi, sprezzanti della legalità, camorristi, ignoranti, se l’è cercata». Come se l’unica soluzione possibile non fosse allargare la propria trincea fino a raggiungere quella del nemico e realizzare che lì forze dell’ordine e cittadini sono tutti in una buca angusta, vittime e carnefici di una guerra schifosa. Viene da citare il bel libro di Paolo Sorrentino, neanche a farlo apposta napoletano: «Hanno tutti ragione». Hanno ragione quelli che dicono che non si tira fuori la pistola perchè qualcuno forza un posto di blocco. Ma hanno ragione anche quelli che dicono «provatela voi la pattuglia a vent’anni, alle tre di notte, in quartieri in cui si spara anche ai piccioni». Hanno ragione quelli che dicono che non si va in motorino in tre e l’assicurazione si paga, ma era una ragazzata mica un crimine. Hanno ragione quelli che parlano di grilletto facile, di abuso di potere, quelli che «i poliziotti ci devono proteggere». Ma hanno torto quelli che esigono il poliziotto solerte e con nervi saldi, quando parte un colpo che uccide un ragazzo di 17 anni, però il resto dell’anno si fanno star bene anche il poliziotto meno solerte, quello che chiude un occhio di fronte al casco che non c’è, alla macchina contromano, allo scooter uso camper. Hanno ragione quelli che «i genitori hanno lasciato un ragazzino di 17 anni in giro alle tre di notte?». Hanno torto quelli che credono che in una città come Napoli basti far rispettare ai figli il coprifuoco delle 21,00 per proteggerli dalle insidie. Ha ragione Roberto Saviano quando dice che è una guerra e in guerra sono tutti buoni, tutti cattivi e tutti morti. Ma no, non ha ragione Saviano quando dice che il pianto della famiglia di Davide ora ha bisogno di attirare l’attenzione, per avere giustizia. Quando dice che Napoli ha bisogno di teatralità perchè il suo dolore venga accolto. È lo sdegno, la protesta, la rivoluzione che a Napoli avrebbe bisogno di teatralità. Di dolore - teatrale, pirotecnico, manifesto- quella città, quella terra ne ha avuto sempre fin troppo. Per strada, i morti ammazzati non sono mai mancati. Lo sdegno, per strada, ad ogni morto ammazzato dalla camorra, è spesso mancato. Quello che sta succedendo con la morte di Davide fa male a tutti. Fa male alimentare questo manicheismo spiccio di chi vuole lo Stato da una parte e il cittadino dall’altra, come se ognuno non avesse le sue colpe, come se in quelle zone dimenticate lo Stato non latitasse e il senso civico di molti cittadini napoletani pure. Come se non ci fossero, a Napoli, poliziotti, carabinieri eccezionali che rischiano la vita tutti i giorni e cittadini ligi, coraggiosi, che lottano quotidianamente contro l’arroganza della camorra e l’assenza delle istituzioni. Fa male la famiglia di Davide ad alimentare questa guerra prima ancora che la giustizia provi a fare il suo corso, dando per scontato che lo stato minimizzerà, seppellirà, avvallerà la tesi dell’incidente. Davide è morto per un colpo di pistola che l’ha colpito poco più su del cuore. Si è detto, nessuno lo nega. Il fatto che la famiglia si precipiti a pubblicare le sue foto in obitorio, con la faccia pallida della morte e il buco del proiettile sotto la spalla, non aggiunge nulla a questa storia. È solo una scelta precisa, razionale, chirurgica: accrescere l’attenzione dei media. Indirizzare l’opinione pubblica in vista di un processo gonfiando l’onda emotiva e l’astio nei confronti delle forze dell’ordine. Giocare la partita facendo leva su sensibilità e sensazionalismo. E no, non c’entrano nulla le foto di Cucchi e di Aldrovandi, come molti hanno fatto notare. Lì le foto servivano a raccontare che Cucchi non era morto per droga e Aldrovandi non era morto per un malore, come raccontato indegnamente. Servivano a mostrare deperimento fisico, ecchimosi, percosse. Servivano a raccontare una verità. Le foto di Davide servono a fomentare il popolo, a inasprire i toni, a strumentalizzare la morte nella sua macabra oscenità ai fini di un processo. Quelle foto sono una scelta teatrale, che poi è proprio quello di cui Napoli non ha bisogno. Se i familiari delle vittime agissero sempre così, sulle bacheche facebook vedremmo, per esempio, un affollamento di foto di cadaveri straziati da pirati della strada, pirati che spesso in galera neppure ci vanno. Avremmo visto le foto del povero Ciro Esposito. E di chissà quante altre vittime i cui familiari aspettano giustizia. La giovane fidanzata di Davide, Federica, si affanna con ingenuità sulla sua bacheca facebook a spiegare la scelta dei genitori del ragazzo ammazzato di pubblicare quelle foto: «Smettete di pubblicare le foto di Davide. La famiglia non voleva metterle, ha dovuto farlo per il giudice». Lo sa perfino Federica che è il legale della famiglia (lo stesso delle famiglie Cucchi e Aldrovandi) ad aver suggerito la mossa. Lo sa anche lei che quelle foto sono propaganda emotiva come le teste mozzate dell’Isis. Che non sono necessarie. Sono funzionali. Servono a colpire allo stomaco. E con quelle foto forse si aiuta un processo ma si perde l’ennesima battaglia: quella per una legalità in cui Stato e cittadino combattono nella stessa trincea. Cercando verità, non vittoria. Chiedendo che tutti smettano di sparare. Che tutti smettano di andare in tre su uno scooter. Che tutti siano consapevoli di avere ragione e avere torto, come in ogni schifosa trincea. di Selvaggia Lucarelli @StanzaSelvaggia