Cazzola: "Sindacati divisi, accordo difficile"

Giulio Bucchi

È pessimista sulla possibilità che i sindacati scrivano assieme le nuove regole della rappresentanza  Giuliano Cazzola, ex sindacalista e oggi deputato PdL e vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera. «I rapporti sociali sono sempre complicati da gestire», spiega: «Neppure le dittature del secolo scorso, nell’Europa dell’Est e in America Latina, sono state in grado di impedire lo svolgersi di un minimo di dialettica sociale. Le imprese devono fare affidamento non solo sulle regole, ma anche sulla loro capacità di prevenire e gestire i conflitti. In Italia, però, le imprese sono indifese. Soprattutto quelle di grandi dimensioni, sindacalizzate e sottoposte al regime dello Statuto dei lavoratori. Gino Giugni ebbe a dire una volta che la legge  300 del 1970  aveva messo sulla strada delle imprese il sindacato e un giudice. A volte si tratta di una combinazione con effetti moltiplicatori delle difficoltà delle imprese a competere sui mercati internazionali. Ciò detto,  esiste un problema di regole più certe sulla rappresentanza». Le scriveranno le parti sociali? «Dubito che i sindacati riusciranno a trovare un’intesa che porti ad una soluzione adeguata. L’esperienza di decenni insegna che i sindacati sono disposti a mettere in discussione le loro prerogative, nel contesto di un’intesa sulla rappresentanza, soltanto quando esistono dei rapporti unitari. Non accetteranno mai un accordo rivolto  a gestire il dissenso,  perché nessuno è disposto ad accettare decisioni di maggioranza che non condivide, quando le impostazioni di fondo sono divaricate come adesso.  Pensi al caso del referendum: la Fiom   ne riconosce l’esito solo quando  è sicura di vincere. Se perde sostiene che il referendum svolto è illegittimo».  Ma una piattaforma comune i tre sindacati la firmarono, nel 2008... «In verità la Cgil si sottrasse subito a quella intesa, sotto impulso della solita Fiom che la riteneva troppo poco rispettosa delle istanze del  “movimento”». Culturalmente che cosa  separa  la Cgil da Cisl e Uil? «Sulla carta Cisl e Uil  si definiscono sindacati-associazione e danno quindi importanza al rapporto con gli iscritti. La Cgil si considera espressione del “movimento” e si riferisce a tutti i lavoratori. In realtà, tra queste diverse concezioni sono intervenute, nel tempo, parecchie contaminazioni. Le divisioni di oggi sono soprattutto di ordine politico. La Cgil è sempre più il collante dell’opposizione al governo Berlusconi. Gli altri sindacati invece cercano di fare il loro mestiere. Ma il peso organizzativo della Cgil condiziona parecchio anche il Pd, il cui gruppo dirigente, alla fin dei conti, finisce sempre per solidarizzare con la Cgil e persino con la Fiom». In assenza di un’intesa tra le  parti è opportuno intervenga il legislatore? «Il legislatore, a mio avviso, non può imporre un modello; deve limitarsi a recepire una eventuale intesa tra le parti (non è necessario per me che l’intesa sia sottoscritta da tutti). Se dipendesse da me porrei il problema di una revisione dell’articolo 39 della Costituzione. Ho presentato un disegno di legge costituzionale in tal senso. Penso che occorra abrogare i commi successivi al primo, allo scopo di liberarci del vincolo ossessivo della rappresentanza unitaria come condizione per stipulare accordi validi erga omnes. Io introdurrei i principi dell’autonomia contrattuale e del reciproco riconoscimento come precisi valori costituzionali. Quanto allo strumento per dare efficacia erga omnes ai contratti, lo affiderei all’iniziativa del governo. Senza crearsi tanti problemi con la doppia lettura prevista dalla Costituzione, forse si potrebbe disciplinare con legge ordinaria,  come prevede lo Statuto,  l’esercizio del referendum». La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa spesso si scontra con l’opposizione di Confindustria ma anche della Cgil. A che cosa è dovuta questa strana saldatura? «Purtroppo di saldature più o meno esplicte o implicite non c’è solo questa. Non lo dà a vedere ma la Confindustria, come istituzione, è molto risentita con Marchionne. Nel nostro caso, direi che si alleano due ideologie antiche, contrapposte ma simmetriche, convergenti in un assioma: i lavoratori hanno interessi diversi dai datori». È possibile introdurre da noi    forme di co-gestione sul modello tedesco? «Mi accontenterei di un’oculata e responsabile gestione dalla c.d. prima parte dei contratti». Come si traduce il concetto di  “partecipazione dei lavoratori”  nelle piccole e medie imprese? «Non la si traduce, si attua. Si fa. Ricorda quel personaggio di Moliére che scopre di aver sempre, in vita sua, parlato in prosa? Anche i dipendenti della piccola impresa sono “partecipativi”  senza essere certificati come tali». Alessandro Giorgiutti