Sussidi e bonus assunzioni: le Marche provano a ripartire
Due milioni e 637mila euro per favorire il reimpiego lavorativo. Nelle Marche la crisi si combatte – anche – così. La somma, stanziata con gli interventi del progetto nazionale “Welfare to work”, è composta da un milione e 100 mila euro provenienti dai fondi ministeriali assegnati alle Marche, 679 mila euro dal bilancio regionale e 858 mila dalle risorse europee. Il programma verrà gestito dalle Province, che erogheranno il previsto sostegno al reddito e il “bonus all'assunzione” per l’inserimento dei lavoratori svantaggiati, con la collaborazione - in via sperimentale - delle Agenzie per il Lavoro che, interverranno a sostegno del reinserimento occupazionale dei lavoratori in mobilità. Presidente Spacca, è questa la ricetta anticrisi? «Il progetto Welfare to Work non è che una delle iniziative della Regione Marche per sostenere l’occupazione. Oggi con questa iniziativa puntiamo a favorire solo per il 2011 l’assunzione di circa 750 lavoratori svantaggiati, che siano licenziati, giovani inoccupati o donne over 35». In quale contesto avviene questa iniziativa? Quale situazione dal punto di vista del lavoro stanno affrontando le Marche? «Il contesto generale è ancora denso di difficoltà determinate dalla pesante crisi internazionale. Per i risvolti occupazionali ci vorrà del tempo. Le Marche stanno reagendo, confermano una caratteristica tipica di questo territorio, ovvero la dinamicità. È ovvio che è aumentato il ricorso agli ammortizzatori sociali e alcune aziende non ce l’hanno fatta. Ma è altrettanto vero che l’impegno congiunto di parti sociali, imprenditori, lavoratori, enti locali, banche e Regione, si guarda al futuro con maggiore ottimismo di ieri. La Regione ha messo a punto piani anticrisi e di rilancio concertati con tutti gli attori del sistema economico-sociale. I dati ci confortano: nel secondo trimestre 2010 le Marche sono la Regione a statuto ordinario con il più basso tasso di disoccupazione, il 5,4% contro l’8,3% nazionale. Il numero di occupati nel triennio di crisi è cresciuto da 656 mila unità a 661 mila, mentre a livello nazionale è sceso da 23,5 a 23 milioni. Ovviamente non possiamo abbassare la guardia: siamo tutti legati all’arrivo della vera “ripresa”, altrimenti tutte le misure fin qui adottate saranno meno efficaci». Chi ha risentito di più della recessione? Le grandi aziende del territorio o quelle piccole e medie? «Questa è una crisi inedita, ha colpito trasversalmente tutti i settori a prescindere dalle dimensioni d’impresa. Va comunque distinta la crisi dovuta principalmente alle dinamiche del mercato – come quella di Fincantieri - da quella determinata, invece, da problemi manageriali o da mancati investimenti in innovazione, in qualità e in percorsi tempestivi di riconversione, come quella del gruppo Antonio Merloni. A fronte di questa situazione il nostro sforzo si è indirizzato soprattutto a sostenere la capacità di credito delle aziende». Nelle Marche si consumano oggi le difficoltà di Fincantieri, Antonio Merloni e Btp... «Per l’Antonio Merloni in amministrazione straordinaria abbiamo in campo un accordo di programma con interventi che dovrebbero favorire l’acquisizione da parte di gruppi che hanno già manifestato un preciso interesse. Per Fincantieri la situazione è diversa: la crisi è determinata dal calo verticale delle commesse a livello mondiale. Abbiamo concordato un programma di sostegno ai lavoratori e di sviluppo di un distretto della navalmeccanica di concerto con la Regione Friuli. Discorso totalmente a parte per Btp, impresa non marchigiana alle cui difficoltà finanziarie va ascritto il rallentamento dei lavori per la Quadrilatero Marche-Umbria». Come dare garanzie ai giovani in cerca di lavoro? «Con misure specifiche. Per esempio il progetto sperimentale “Marche flexi”. Si vuole attivare una rete territoriale, che sia mono o plurisettoriale, di almeno 15 imprese. Queste danno garanzie occupazionali nel tempo ad un gruppo di giovani lavoratori diplomati o laureati inseriti in una “lista di bacino territoriale”. L’obiettivo? Proporre un progetto mirato, sostenibile e replicabile che, recependo le indicazioni della politica comunitaria, ponga un raccordo fra mondo datoriale e mondo dei lavoratori: siamo consapevoli che il reciproco rafforzamento delle parti possa rappresentare la leva di un rinnovato miglioramento socio-economico». La Confidustria marchigiana poco tempo fa ha denunciato però il rischio di una rassegnazione dei giovani. Un rischio reale a suo parere? «I giovani rappresentano una priorità per la Regione Marche, che si concretizza con diversi interventi, dalle 560 borse di studio per laureati con incentivo all’assunzione, per arrivare al prestito d’onore, che vuole creare 400 nuove imprese nel 2011. Non credo che i giovani marchigiani siano rassegnati, nonostante le difficoltà che incontrano nel passaggio dagli studi al lavoro: i nostri ragazzi continuano a studiare - abbiamo un abbandono scolastico nettamente inferiore ad altri territori simili al nostro - s’impegnano per costruire il loro futuro. Ma c’è bisogno di rimuovere gli ostacoli all’ingresso nel mondo del lavoro. Servono a livello nazionale investimenti concreti per coniugare istruzione e formazione con una politica di sviluppo. Noi ci stiamo impegnando per una programmazione formativa sempre più mirata a rispondere alle esigenze professionali e funzionali delle aziende». Su quali settori consiglierebbe oggi a un giovane di orientarsi? «Farei l’esempio della green economy. Il suo sviluppo e sostegno è uno dei cardini della programmazione finanziaria regionale. Siamo convinti che settori come questo, ad elevato contenuto tecnologico, siano tra quelli che consentono maggiori possibilità di inserimento per i giovani, soprattutto per quelli con un livello medio alto di istruzione. È per questo che sosteniamo da tempo processi di riconversione industriale verso questi nuovi settori e abbiamo creato strumenti ad hoc per la formazione, come il bando per la formazione nei settori della green economy dei co.co.pro. espulsi dalla crisi con incentivi per le aziende che li assumono dopo la formazione». Lei ha detto: in vista del federalismo serve rafforzare l’identità regionale. In che modo questo monito può avere – se ne ha – risvolti anche nel mondo del lavoro? Il mercato non chiede invece una “sprovincializzazione”, una “globalizzazione”? Gli imprenditori marchigiani che producono all’estero a suo parere non collaborano a questo rafforzamento di identità? «Sicuramente, ma l’identità regionale è più avvertita all’estero che al nostro interno. Le Marche non sono mai state una nazione, come Piemonte, Toscana o Veneto. Noi siamo sempre stati la provincia di qualcun altro: Stato pontificio o Regno sabaudo. Questo ha reso molto più difficile lo sviluppo di una cultura regionale. Così è più forte l’appartenenza al municipio e al territorio, con la conseguenza che spesso anziché prevalere una politica di sintesi delle esigenze dei cittadini, si è costretti a procedere con compromessi che nascono dalla sommatoria di piccoli interessi territoriali. Vogliamo superare questo modello ed ecco il mio appello agli intellettuali ed a tutta la comunità regionale». di Giulia Cazzaniga