Sbagliato pensare solo ai tagli per fare uscire l'azienda dalla crisi

domenico d'alessandro

Non vedono più nero. Hanno chiaro cosa non va e come si potrebbe migliorare. I direttori del personale e gli esperti del settore, interpellati da Libero Lavoro, raccontano la loro esperienza. Partendo da un dato che è più roseo di quanto ci saremmo aspettati. Come spiega infatti Paolo Citterio, presidente dell’associazione Gidp/Hrda, «il mercato del lavoro sta lentamente riprendendo  quota: negli ultimi tre mesi abbiamo assistito a inserimenti nei settori delle utility, della farmaceutica e della grande distribuzione organizzata». Uno studio promosso da Aidp, Associazione italiana per la direzione del personale come spiega il suo presidente Roberto Savini Zangrandi, conferma che il 50% delle aziende, «prevede di far crescere il capitale umano nel 2011 e di aumentare le retribuzioni, anche se la prudenza di questi tempi è d’obbligo e solo il 30% dei contratti sarà a tempo indeterminato». I laureati più ricercati provengono, secondo Citterio, «da ingegneria gestionale, meccanica o informatica. Ma sono in pole position anche chimici e laureati in economia, giurisprudenza, e biologia». «Mentre il “mercato” dei diplomati», continua Citterio, «potrebbe crescere se solo si sconfiggesse quella cultura per cui il lavoro manuale e tecnico viene vissuto come minore e “disonorevole”». Per Savini, il problema sta nell’incontro tra domanda e offerta: «Il mercato del lavoro», spiega, «è una giungla: non c’è organizzazione. Esistono tantissimi centri per l’impiego, che intermediano  meno del 2% della manodopera. I siti internet prolificano. Le offerte esistono, ma bisogna andarsele a cercare. Anche le persone di valore faticano a collocarsi». Anche per Carlo Pettinelli, direttore del personale di Fater, domanda e offerta faticano a incontrarsi: «I giovani indirizzano gli studi verso campi saturi, ma andrebbero aiutati nell’orientamento. Spesso chi fa selezione non sa come inquadrare i neolaureati: la preparazione è spesso generica. Dobbiamo offrire ai giovani un sapere non solo completo e specialistico, ma anche pratico, che garantisca l’introduzione nel mondo del lavoro». Per Riccardo Pattanaro, direttore risorse umane in Itt Motion Technologies, «il mercato  dopo la crisi c’è disponibilità di risorse quantitativamente sufficienti, ma i migliori sono rimasti in azienda e  sono poco propensi alla mobilità. Questa non è una novità, spesso i sociologi ci parlano dei “mammoni”, ancorati al cordone ombelicale anche oltre i 30 anni». Dice invece Luca Vignaga, direttore risorse umane di Marzotto: «Tre sono i macro problemi: il rischio di una precarizzazione del lavoro giovanile; la rigidità di un sistema che non premia l’individuo e la sua professionalità per chi è nel mondo del lavoro; la difficoltà a reinserirsi per chi perde il lavoro. Nella sostanza, andrebbe effettuata una seria modifica all’art.18 dello Statuto dei lavoratori e fatta una riforma che introduca un sistema di flexsicurity prendendo a modello i Paesi scandinavi». Per Raffaele Credidio, manager Hr in Micron Technology Italia, il problema principale è invece il fatto che «non ci sia la fiducia nei confronti del datore di lavoro. L’azienda dovrebbe essere vista come una famiglia, ma in Italia siamo culturalmente ostili verso gli imprenditori, soprattutto se grandi». Ma cosa fare, in concreto, quando un’azienda è in crisi? Per tornare in utile il taglio del personale non è l’unica via. Dice Savini Zangrandi:  «Per ipocrisia in Italia non abbiamo avuto il coraggio di affrontare il problema del licenziamento individuale, aggirandolo coi contratti a termine, ma se dovessi trovarmi di fronte a una crisi avrei a disposizione la cassa integrazione, la mobilità, i prepensionamenti e i contratti di solidarietà, che consentono di ridurre i costi anche temporaneamente». Per Citterio, «è il capitale umano a fare la differenza, e i contratti di solidarietà o la cassa in deroga consentono di non perdere le competenze del  personale in attesa di tempi migliori». In Itt, spiega Pattanaro, «la forza è la flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro, raggiunta grazie a relazioni industriali  intense, caratterizzate dall’affrontare problemi e opportunità con un comune determinatore: il successo dell’azienda». Pattanaro ritiene i contratti di solidarietà «uno strumento complesso da gestire», mentre Vignaga li vede di buon occhio questo: «Sono uno strumento utilissimo a cui andrebbero agganciati sistemi di aggiornamento professionale. Purtroppo in alcune situazioni servono riorganizzazioni stabili per risanare le aziende che comportano anche riduzioni di personale». La crisi non ha comportato però  solo tagli, ma  spesso una riscrittura dei modelli organizzativi. Pettinelli racconta che in Fater si è «approfittato di questo periodo per una riflessione sul reale stato di salute della nostra organizzazione. Ci stiamo focalizzando ancora di più sull’innovazione di prodotto, su una maggiore rapidità decisionale, su processi formativi che consolidino i nostri valori, sull’efficienza dei costi indiretti». Riassetto produttivo all’insegna di una maggiore efficienza  per la Itt di Pattanaro: «Grazie a questo e agli investimenti in ricerca, stiamo vivendo un periodo di crescita intensa che necessariamente richiede un assetto organizzativo world-wide», racconta, «e questo significa anche cambiare approccio». «La crisi ha imposto a Marzotto di semplificare le strutture organizzative per essere  più attenti alle esigenze del mercato», chiosa invece Vignaga, mentre Credidio confessa: «Ormai le aziende e in particolare noi della direzione del personale prendiamo decisioni apparentemente contraddittorie a settimane alterne. L’eliminazione dei magazzini, infatti, spinge ad essere fortemente reattivi al cambiare dei piani operativi e delle commesse dei fornitori: si passa in modo frenetico da forme che portano a inoccuppare i lavoratori (dalla Cig ai contratti di solidarietà) all’assunzione a tempo determinato di altri lavoratori per gestire i picchi di attività e di produzione». Problemi di tutti i giorni, problemi concreti. Con questi hanno a che fare i direttori del personale. E ai primi posti metterebbero la burocrazia. «Un direttore del personale è chiamato ogni giorno a prendere decine di decisioni in poco tempo», spiega Pettinelli, «e spesso ci blocchiamo nelle sabbie mobili dei dubbi interpretativi, del numero di enti da informare. Penso alle continue sovrapposizioni di leggi nel diritto del lavoro». Vede un miglioramento della burocrazia Credidio: «Pratiche che prima erano presenti esclusivamente in formato cartaceo ora sono per fortuna in formato elettronico. Non ultima la novità dei certificati medici che da gennaio dovrebbe snellire i processi per l’archiviazione. Il problema rimane quello di dover porre la massima attenzione sui contenuti delle lettere di assunzione, sulle erogazioni di bonus eccetera: più che burocrazia è un problema di regole stringenti ma soprattutto di “errori di forma”». Beatrice Corradi