Figli, prestiti e diritti. Il welfare dei precari che l'Europa ci invidia

Tatiana Necchi

di Alessandro Giorgiutti - Un welfare a misura di precario. È  l’obiettivo di Ebitemp, l’ente bilaterale (associazione di datori di lavoro e sindacati) che tutela i lavoratori in somministrazione, quelli che un tempo si definivano lavoratori interinali. Spesso giovani, privi delle sicurezze e delle tutele offerte da un contratto lungo e da un posto fisso. Soprattutto a partire dall’ultimo rinnovo contrattuale (luglio 2008), il welfare per gli interinali ha fatto notevoli passi avanti. Tanto che, osservano unanimi i rappresentanti sindacali, oggi uno dei compiti più importanti è quello dell’informazione: bisogna raggiungere i singoli lavoratori per renderli consapevoli dei loro diritti.  Filomena Trizio (Nidil-Cgil) illustra quelle che, a suo avviso, sono le due misure più importanti messe in campo finora: «Anzitutto, le misure di sostegno alla maternità, che si propongono di conciliare i tempi del lavoro con la vita familiare. Un principio che non è stato facile far passare». Le lavoratrici neo-mamme (in media hanno 29 anni) possono beneficiare di contributo una tantum di 1.400 euro lordi, e possono poi richiedere un  contributo triennale fino a 80 euro mensili per sostenere  le spese dell’asilo nido. Altro provvedimento chiave: «Il sostegno al reddito di chi rimane senza lavoro. Questa era una misura pensata in tempi di pace, si era nell’estate del 2008, ma di lì a qualche mese si sarebbe rivelata fondamentale per i tempi di guerra che, con la crisi economica, stiamo attraversando». In sostanza, chi ha lavorato almeno sei mesi nell’ultimo anno, e si trova senza lavoro da almeno 45 giorni, può usufruire di un contributo una tantum di 700 euro lordi. Che certo non risolvono tutti i problemi ma sono quantomeno una boccata d’ossigeno. Prestiti  tasso zero Magda Maurelli (Cpo-Uil) sottolinea invece un altro punto: «La possibilità di ottenere prestiti fino a 4.000 euro per chi abbia almeno un mese di missione residua. E fino a 2.500 euro il prestito è a tasso zero. Un’opportunità che nessuna banca potrebbe fare». Una alternativa alla via, spesso inaccessibile, del prestito bancario è offerta anche a chi abbia quattro mesi di contratto: per costoro l’ammontare del prestito può salire fino a 10.000 euro. Nel 2009 si sono soddisfatte 593 domande di finanziamenti personali, e nei primi quattro mesi del 2010 le domande sono aumentate del 70 per cento. «Ma la comunicazione, su questa come sulle altre opportunità, non è efficace», continua Maurelli: «Le agenzie per il lavoro, in particolare, al momento della firma del contratto dovrebbero dare più informazioni, distribuire opuscoli». Il vero salto di qualità per il “welfare dei precari” si avrà però tra qualche mese, con l’istituzione di un fondo di previdenza integrativa, «un elemento importantissimo per persone che lavorano, per definizione, con discontinuità», spiega Ivan Guizzardi (Fesla-Cisl).  Il fondo dovrebbe essere pronto per settembre e sarà l’espressione di un welfare che, continua Guizzardi, «necessariamente deve fornire tutele non legate al posto di lavoro ma al mercato del lavoro». La parola chiave è: accompagnare. «Si tratta di accompagnare il lavoratore nella fase dei lavori temporanei, una fase che naturalmente ci si augura duri il meno possibile. In quelle condizioni comunque non importa tanto avere qualche euro in più, ma soprattutto essere assistito anche nei periodi inattivi, coniugando il sostegno al reddito con politiche attive. In questo senso la bilateralità è fondamentale. E impegnandosi nell’ente bilaterale il sindacato dimostra che non è vero che si disinteressi dei lavoratori meno tutelati». Più occupati Ebitemp, tra le sue prerogative, ha anche quella di monitorare l’andamento del mercato del lavoro. Che dopo un 2009 terribile (assunzioni calate del 28 per cento rispetto al 2008) sta dando qualche debole, ma costante, segnale di ripresa. Tra l’estate dello scorso anno e i primi mesi del 2010 l’occupazione interinale ha ripreso a crescere. Il numero medio di occupati mensili è cresciuto da 221 mila a 223 mila tra l’ultimo trimestre del 2009 e il primo trimestre del 2010. E il trend positivo si è confermato anche ad aprile (più 1,7 per cento sullo stesso mese del 2009). La cosa degna di nota è che questo trend contraddice il dato complessivo degli occupati, che purtroppo continuano a calare. Insomma, il lavoro interinale aumenta mentre l’occupazione, complessivamente, diminuisce. Lecito chiedersi: il dato è positivo o negativo? Ci si deve rallegrare perché le imprese ricominciano ad assumere, oppure ci si deve rattristare perché i contratti “brevi” stanno sostituendo i contratti “lunghi”? «C’è l’uno e l’altro elemento. Da un lato bisogna riconoscere che nel 2010 ha ripreso slancio la produzione industriale, ciò che ha aumentato l’offerta di lavoro interinale, che proprio in quel settore, l’industria, nel 2009 aveva segnato la sua contrazione più forte. Questo è indubbiamente il segnale di un’economia che si sta rimettendo in moto», spiega Filomena Trizio (Nidil-Cgil).  Il rovescio della medaglia è che «a crescere sono le prestazioni temporanee meno tutelate: collaborazioni occasionali, a progetto, lavoro a chiamata, voucher... Contratti un poco arrangiaticci, diciamo così». Anche per Magda Maurelli (Cpo-Uil) in questo quadro in chiaroscuro sono le ombre a prevalere sulle luci: «Non riesco a dare una lettura positiva di questi dati. L’aumento dei contratti interinali, mentre l’occupazione nel suo complesso diminuisce, è un effetto della crisi, e non il segnale di un suo superamento». Meno stranieri Un altro segnale da non trascurare: in questi ultimi mesi si è modificato il  rapporto numerico tra lavoratori interinali stranieri e lavoratori interinali italiani. In effetti, se si considerano i dati del 2009 si scopre che sono soprattutto i lavoratori immigrati ad aver risentito della diminuzione  dell’offerta di lavoro. Per loro infatti il calo è stato  del 31 per cento. Risultato. Nel quarto trimestre del 2009 la quota di stranieri sul totale degli occupati interinali  è arrivata al 21 per cento, contro una percentuale che sfiorava il  25 per cento nella prima metà del 2008. Un dato che può essere  spiegato in due modi. Da un lato, come già detto, i settori che più hanno sofferto la  crisi sono quelli in cui tradizionalmente è più forte la presenza di lavoratori immigrati. Esempio classico, il  manifatturiero. Dall’altro lato, il dato può riflettere anche un nuovo atteggiamento degli italiani, che da un po’ di tempo, sono  più disponibili ad accettare offerte di lavoro non precisamente corrispondenti alle proprie aspettative. Ci si adatta  nell’attesa che passi la buriana.