La notte del lavoro è finita. Tornano in azienda gli interinali
di Attilio Barbieri - Il peggio è alle spalle. Dopo la frana registrata nel 2009 dal lavoro temporaneo con un secco meno 30% nelle missioni, la tendenza si è invertita. Il primo trimestre dell’anno in corso si è chiuso con un segno positivo. Tendenza confermata anche ad aprile dalle rilevazioni di Ebitemp, l’ente bilaterale che tutela i cosiddetti lavoratori “in somministrazione” o interinali. E da altre fonti, ancora più ottimiste. Un segnale importante per l’intera economia. Come conferma Roberto Romei, docente di diritto del lavoro all’Università di Roma Tre e presidente di Ebitemp: «Questa componente del mercato del lavoro è la prima a risentire delle crisi. Come è accaduto negli ultimi due anni le aziende in difficoltà intervengono prima di tutto sui contratti a termine. Non rinnovandoli alla scadenza. Il fatto che da gennaio il decremento si sia progressivamente attenuato e che ad aprile il monte retributivo sia tornato ai livelli dello stesso mese 2009 fa ben sperare. Se mettiamo assieme questo dato con gli indici della produzione industriale e gli ordinativi dell’industria, in netto miglioramento, cominciamo a intuire un’importante inversione di tendenza». Gli interinali, o lavoratori in somministrazione sono stati al centro delle polemiche per lungo tempo. Su di loro si sono scritti libri e girati film (pensiamo al cult “Generazione 1000 euro” tratto dall’omonimo volume di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa ), sono nate social community e blog di ogni genere. E la politica, per lo meno una parte, ci ha campato sopra facendone un cavallo di battaglia, perdente, alle ultime elezioni politiche. Poi il silenzio. La recessione del biennio 2008-2009 ha letteralmente fatto strage di precari. E non solo: i milioni di nuovi disoccupati in Europa e Usa, le chiusure a raffica di impianti ed esercizi commerciali li hanno fatti precipitare in un limbo mediatico che li condanna, per ora, all’oblio generale. «È vero», conferma Romei, «il lavoro temporaneo, per quanto non abbia goduto di una buona stampa, si è rivelato non solo un lavoro garantito perché in azienda c’è il vincolo della parità di trattamento con i dipendenti a tempo indeterminato, ma anche un potente veicolo per avviare le persone ad un impiego. Lo dico spogliandomi per un attimo della mia veste di presidente di Ebitemp, ma il mio giudizio sarebbe ancora più positivo se nel nostro Paese si fosse diffuso anche il lavoro in somministrazione a tempo indeterminato. Lo staff leasing: ad assumere è l’agenzia per il lavoro che poi manda in missione questi dipendenti presso aziende diverse». Quindi una volta tanto noi italiani non abbiamo nulla da imparare da nessuno? «Assolutamente no. In questo caso le parti sociali hanno dato vita a un sistema di welfare privato, senza nessun aggravio perché lo finanzia lo Stato, che rappresenta uno dei pochi casi di flexicurity, la politica che coniuga flessibilità e sicurezza del lavoro e di cui si parla tanto a livello comunitario. Ecco, questo mi sembra un buon esempio di flessicurezza. Per utilizzare un’espressione cara al ministro Sacconi una buona prassi, anche se poi tale non è perché ci sono fior di accordi e di disposizioni contrattuali e tutele legali che circondano un lavoratore in somministrazione». Di quali tutele si tratta? «Queste persone sono tutto fuorché abbandonate a loro stesse. Al contrario innanzitutto hanno dietro di loro una società che guadagna sul loro lavoro e quindi ha interesse a ricollocarle. Hanno poi una serie di provvidenze che vanno dal rimborso dei ticket sanitari alle spese dentistiche al contributo per gli asili nido, al sostegno al reddito, ai prestiti personali. Due tipologie, queste ultime, che hanno avuto un’impennata nel biennio 2008-2009. Forse sono piccole cose, ma importanti. E talvolta non le hanno neppure i dipendenti a tempo indeterminato». Ma quanto pesano sul totale della forza lavoro? «Nei periodi di espansione dell’economia i lavoratori in somministrazione rappresentavano quasi l’1%, mentre la media europea è al 2%». Quanti riescono a trasformare il loro contratto da precario a stabile? «La percentuale di conversione nel 2007 era del 25-30%. Ma si tratta di cifre superate dagli avvenimenti economici degli ultimi anni». In situazione normale, dunque, è l’anticamera per un’occupazione stabile? «Proprio così. Non è un caso se nel settore della somministrazione non si sono riproposte le barricate che si sono viste spesso nelle relazioni fra imprese e lavoratori. Anzi, è accaduto esattamente il contrario. Nel 2008 le parti hanno dato vita a un contratto collettivo che rappresenta un’ottima miscela fra elementi di flessibilità ed elementi di stabilizzazione. Pensiamo ad esempio alla possibilità dell’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore in somministrazione una volta che abbia maturato un certo numero di mesi di missione. Ancora una volta si tratta di un terreno di nicchia che però ha beneficiato di una caratteristica peculiare: non ci sono state fratture e le parti sociali sono riuscite a fare un lavoro eccellente. Con grande maturità hanno saputo trovare un terreno comune d’incontro e un accordo che sta funzionando. È auspicabile che questa disponibilità delle parti si riproponga anche nelle relazioni sociali al di fuori del lavoro temporaneo. E per il futuro cos’è logico aspettarsi? «Che il lavoro in somministrazione riprenda a crescere stabilmente perché questo significherebbe che l’economia ricomincia a funzionare e che il volano fra domanda e offerta ha ripreso a girare. E poi possiamo aspettarci qualche sorpresa positiva dalla somministrazione a tempo indeterminato, lo staff leasing che potrebbe offrire inedite possibilità di sviluppo. Impiegato con misura potrebbe rappresentare un dato interessante sul mercato del lavoro nei prossimi anni. Staremo a vedere se in questo caso le parti sociali riusciranno a sfruttare questa grande possibilità prevista dal recente intervento del governo che consente di utilizzare la somministrazione a tempo indeterminato. A moltiplicare accordi di questo genere ci potrebbero essere sviluppi interessanti». Un’ultima domanda: cosa consiglierebbe al classico cinquantenne che abbia appena perso il lavoro e che ben difficilmente potrà rientrare nel mercato nella medesima posizione che ha abbandonato? Non è che si deve trasformare giocoforza in un lavoratore temporaneo? «Gli consiglierei innanzitutto una grande flessibilità: uno degli ostacoli maggiori nel momento di trovare un nuovo lavoro è l’essere legati alla propria storia professionale. A volte è un fardello pesantissimo da portarsi dietro. Mentre ci vuole grande coraggio, flessibilità e intelligenza per ricollocarsi a 50 anni. Mi rendo conto che si tratta di situazioni difficilissime, vissute spesso come un dramma personale. Ma nella maggior parte dei casi può essere decisivo avere una grande apertura e una altrettanto grande flessibilità mentale. E poi provare a rivolgersi alle società di lavoro in somministrazione. Può essere utile, anche se l’atteggiamento mentale del candidato all’assunzione rappresenta alla fine l’elemento determinante».