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Agroalimentare: Fondimpresa, 2018 positivo per made in Italy nel mondo

AdnKronos

Firenze, 5 mar. (Labitalia) - "Il 2018 ha fatto segnare risultati molto positivi per il made in Italy agroalimentare nel mondo. Nei primi otto mesi le esportazioni sono aumentate del 3,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Perché il trend continui e si rafforzi è tuttavia fondamentale restare al passo con innovazione e tecnologie digitali". Lo ha affermato il presidente di Fondimpresa, Bruno Scuotto, concludendo oggi a Firenze all’Accademia dei Georgofili i lavori del convegno promosso dal Comitato tecnico permanente dell’industria alimentare (Federalimentare, Fai Cisl, Flai Cgil, Uila Uil) e Fondimpresa. Solo in Toscana le aziende (di tutti i settori) aderenti a Fondimpresa sono 9.395 con circa 206.000 lavoratori. Le aziende del settore agroalimentare aderenti a Fondimpresa a livello nazionale sono circa 6.500 con 176.000 lavoratori, e buona parte di esse hanno manifestato grande attenzione per gli avvisi dedicati a competitività e innovazione. L’espansione internazionale dell’agroalimentare italiano è frutto anche delle scelte di Fondimpresa, ha sottolineato Scuotto, che "fin da prima che si iniziasse a parlare di industria 4.0, digital transformation o internazionalizzazione, ha intrapreso politiche propulsive riguardo a innovazione tecnologica e di processo, competitività, ambiente e territorio”. Ma serve investire sempre di più, ha avvertito, in una "formazione strategica, basata su certificazioni di prodotto e di processo finalizzate all’export e strategie di penetrazione di nuovi mercati, che non può prescindere da una accurata analisi di fabbisogni". Per Scuotto, bisogna "progettare per competenze, andando verso una logica sempre più orientata a bandi settoriali". Il presidente di Fondimpresa ha, inoltre, sottolineato "l’esigenza di rivedere la normativa degli aiuti di stato destinati ad accrescere le competenze dei lavoratori, un patrimonio professionale che potrà essere utilizzato anche in realtà diverse dall’azienda presso cui operano al momento in cui viene erogato il sostegno all’intervento formativo". "E' chiaro - ha ricordato Suotto - che le aziende dell’agroalimentare stanno affrontando una sfida intricata: quella della trasformazione digitale. Un percorso arduo che non si limita alla digitalizzazione dei processi esistenti, ma consiste nel rivoluzionare il proprio approccio nelle logiche più profondo, legate anche alla formazione. Noi di Fondimpresa portiamo avanti da tempo l’idea che anche la formazione debba innovare se stessa, avvicinandosi agli schemi formativi attuali delle grandi aziende, delle cui esigenze ci siamo fatti portavoce per sollecitare cambiamenti normativi che rendano rendicontabili metodi di apprendimento innovativi su ambienti digitali che al momento rendicontabili non sono". "La formazione per l’internazionalizzazione - ha aggiunto - non può e non deve fermarsi sulla soglia. Dobbiamo fare un distinguo essenziale tra formazione adattiva e formazione strategica perché se è vero che a livello adattivo sicuramente i corsi di lingua sono indubbiamente un primo passo utile per l’azienda è anche vero che per parlare di internazionalizzazione è necessaria una formazione strategica, basata su certificazioni di prodotto e di processo finalizzate all’export e strategie di penetrazione di nuovi mercati, che non può prescindere da una accurata analisi di fabbisogni. Per questo, noi di Fondimpresa, investiti di un ruolo centrale per quanto riguarda la formazione continua in Italia, riteniamo che sia necessario progettare per competenze, andando verso una logica sempre più orientata a bandi settoriali, che consenta alle imprese di ripartire dall’individuo, di studiarne le capacità e il ruolo in azienda e solo in seguito intervenire per colmare i gap che riguardano le sue competenze". "Il punto ulteriore - ha sottolineato - sul quale chiediamo si svolga una riflessione compiuta è la tematica degli aiuti di Stato. Se ad oggi si stima che la permanenza media di un individuo in azienda è di circa due anni appare chiaro che le competenze devono diventare patrimonio del singolo lavoratore, che oggi le acquisisce nell’azienda in cui lavora, ma tra un anno o due potrebbe utilizzarle altrove, per una propria crescita professionale ed umana. Chiediamo pertanto che l’inizio di una riflessione sulla possibilità che gli aiuti di stato siano riferiti all’individuo e non più all’azienda perché le competenze sono un tesoro che deve essere consegnato al lavoratore che avrà il compito di custodirlo ed accrescerlo nel tempo".