La beffa
"Potete andare in pensione, anzi no": otto prof beffati dallo Stato
"Trattati come sacchi di patate", così si sono sentiti gli otto professori mandati in pensione e poi richiamati a lavorare dopo soli venti giorni. Sembra una barzelletta, invece è capitato davvero. Agli otto insegnanti veneti, residenti tra Treviso, Padova e Rovigo, era stata mandata agli inizi di ottobre una telefonata ufficiale direttamente dalla Provincia, che comunicava l'autorizzazione ad andare in pensione. "A dire il vero la cessazione di servizio partiva dal primo settembre - racconta uno degli insegnanti al Corriere della Sera - ma quella telefonata mi ha cambiato la vita: nonostante il ritardo ero comunque felice di dar seguito alle passioni che avevo dovuto mettere in secondo piano. Ho terminato la mia ultima lezione e ho salutato tutti". Invece, dopo 20 giorni arriva un'altra chiamata: "Si comunica che la cessazione di servizio deve considerarsi annullata". Cioè che i prof, ormai abituati all'idea del riposo, devono tornare a scuola. E i progetti di una vita senza impegni lavorativi devono essere accantonati ancora una volta e per, minimo, altri tre anni. Eppure gli otto professori hanno alle spalle 40 anni di insegnamento e, come comunicato dalla prima telefonata, avevano maturato le condizioni minime (secondo l'Inps) per andare in pensione. L’odissea in realtà ha inizio nel 2011, quando il docente, classe 1952 matura il diritto alla pensione per l’anno successivo. Ma la legge Fornero blocca tutto posticipando di cinque anni il limite per il pensionamento. "Sul punto è stata portata avanti una class action - dice il professore al Corriere - ma non sappiamo ancora quale potrà essere l’esito dell’azione legale contro il ministero". "Siamo stati trattati come sacchi di patate - si sfoga ancora l’insegnante - è ingiusto quello che ci è capitato dopo così tanti anni di servizio. Inammissibile venire trattati con tanta superficialità su aspetti della vita così importanti". L'insegnante ha già comunicato l'intenzione di inviare una lettera al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza per informarla di quanto accaduto. "Mi sembra doveroso far sapere cosa succede in questo Paese - continua - senza contare che la beffa potrebbe rivelarsi molto lunga. Se la class action contro la legge Fornero non porterà i risultati sperati, dovrò restare in servizio fino al 2017". Che sarebbero altri tre anni. "Possono sempre intervenire nuove normative - chiude - un mio collega che ha rifiutato il pensionamento per insegnare un ulteriore anno, per sopravvenute leggi si è visto rinviare la cessazione di servizio di altri cinque anni. Vista l’instabilità dei nostri governi, non posso quindi sapere quanto questo 'errore' mi costerà in termini di anni di lavoro, se cioè nell’agosto 2017 potrò andare in pensione o se un nuovo cavillo di una nuova normativa confezionata da un nuovo ministro stravolgerà ancora la mia vita".