I poteri si sono stufati del Giglietto magico. Renzi ora rischia
Sono due i messaggi arrivati a Matteo Renzi dal Consiglio di Stato nel parere che ha fatto a pezzi uno dei suoi fiori all’occhiello, il regolamento applicativo del canone Rai nella bolletta dell’elettricità. Il primo segnale è motivato ampiamente in quella decisione: da quando a palazzo Chigi è arrivato il sindaco di Firenze portandosi dietro i suoi cari del Giglio magico, da quel gruppo di fedelissimi escono leggi scritte con i piedi (e usiamo un eufemismo). Il secondo segnale ovviamente non è scritto nella motivazione del Consiglio di Stato, ma è altrettanto chiaro: il livello di sopportazione delle stramberie della nuova classe dirigente da parte degli antichi poteri di Italia è arrivato al culmine, e la loro pazienza è terminata: Renzi oggi li ha quasi tutti apertamente contro. Primo segnale: le norme sul canone Rai sono solo l’ultimo esempio di una lunga catena di infortuni del governo in carica. Dallo sblocca Italia al codice degli appalti c’è una valanga di norme fantasiose, poetiche, talvolta confuse, spesso oscure, quasi sempre inapplicabili. Il codice sugli appalti raggiunge le vette di questa produzione: è sostanzialmente il manuale perfetto da distribuire in tutte le università per insegnare ai ragazzi ogni segreto su come non si debba scrivere una legge. Se poi Renzi che sembra convinto di avere varato rivoluzioni e lo racconta a mezzo mondo, avesse un minuto per guardare poi la realtà e chiedersi cosa è cambiato, avrebbe la risposta che ben conoscono tutti i cittadini italiani: nulla. E visto che così è- dai provvedimenti economici che invece di aiutare la crescita tengono l’Italia più distante di prima da quella altrui, alle riformone che si sgonfiano dopo poco come sufflè mal riusciti- non sarebbe male che il premier un giorno si guardasse allo specchio, in compagnia di vigilesse portate a dirigere il legislativo del governo, e giglietti e giglioni che di magico hanno ben poco infilati in tutti i posti dove si prendono le decisioni che contano. Perché le idee non sono mancate, qualcuna non era neppure malvagia, ma la realizzazione è un guazzabuglio mai visto. Il perché è semplice: se devi curare un malanno, sempre meglio bussare alla porta di un medico specializzato che rivolgersi al santone dietro l’angolo che come le nonne contadine di un tempo ti racconta che il raffreddore passa tenendosi delle castagne in tasca. Con le leggi è così. Racconti cosa vuoi fare, e poi lasci che a scriverla sia un professionista: può darsi che non sia fidatissimo, magari è uno che gufa. Ma sa fare quel mestiere meglio del compagno di giochi con cui ti arrampicavi in bicicletta a San Senario. Da settimane sentivamo dire dall’ormai insopportabile coretto di cheerleaders che invadono le trasmissioni tv per conto di Matteo che quella sul canone in bolletta era “la legge più bella del mondo”, e si trattava solo di farci l’abitudine, applicandola. Potevi sollevare problemi, raccontare i drammi degli utenti Rai che ogni giorno scrivono ai giornali non sapendo che debbono fare, ma quelle sorridevano, alzavano le spalle e davano dei mentecatti o dei gufi ai poveri utenti. Oggi il Consiglio di Stato con il suo linguaggio felpato nota che “il regolamento de quo presenta alcuni profili di criticità”. E ne cita subito uno mica banale: “nel testo del regolamento manca un qualsiasi richiamo ad una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo, la cui detenzione comporta il pagamento del relativo canone di abbonamento e al fatto che il succitato canone deve essere corrisposto per un unico apparecchio, prescindendo dall’effettivo numero di apparecchi posseduto dal singolo l’utente”. Erano le domande che si facevano tutti: lo devo pagare anche se ho solo un computer, un tablet o un telefonino? E se la badante ha la tv in Camera, quanti canoni sono dovuti? E così via. Ora sappiamo che la risposta nel regolamento non c’è, semplicemente perché nessuno si è posto o è stato a sentire quelle domande. Altra pacata osservazione dei magistrati amministrativi: “non tutte le norme ivi previste risultano formulate in maniera adeguatamente chiara, tenendo conto dell’ampia platea di utenti cui le medesime si rivolgono”. E’ un modo educato di dire quel che bruscamente abbiamo osservato prima: è scritto con i piedi. Secondo segnale. Il Consiglio di Stato ha tutte le ragioni del mondo, ma le avrebbe avute anche nei mesi scorsi a fare a pezzi tanto altro della produzione normativa del governo Renzi. Te lo dicevano in privato, poi però soprassedevano per evitare lo scontro frontale con l’esecutivo. La notizia è che questo non accade più. E la decisione viene a ruota di altre di ancora maggiore evidenza. Dal presidente della Corte Costituzionale che si mette apertamente contro il premier sull’invito alla astensione referendaria, alle procure che hanno mollato il freno a mano e puntano sul palazzo senza troppi problemi. E poi ancora: media meno allineati dei mesi scorsi, gruppi finanziari e industriali che iniziano apertamente a borbottare. Non si tratta della tradizionale fine della luna di miele, che nel caso Renzi è durata non poco. Improvvisamente quei poteri sono contro. E di solito questo avviene quando vedono un avversario debole, quasi a terra. Continua a leggere su L'imbeccata di Franco Bechis