L'appello per gli Olindi

Silvia Tironi

Olindo da Erba e sua moglie Rosa tornano sulla scena. Del processo. I loro avvocati, Enzo Pacia Luisa  Bordeaux e Fabio Schembri, dopo l’impugnazione del verdetto  di condanna all’ergastolo, hanno depositato i motivi del ricorso in appello. Si celebra a Milano, dato che a Como non c’è la corte d’appello. Primo capitolo delle argomentazioni illustrate dai difensori nella relazione di 400 pagine: «I Coniugi Romano sono due poveri ingenui. Folli e sprovveduti. Deboli di psiche e uniti da un legame simbiotico malato». Proprio questo rapporto, si legge nei motivi, «li ha portati a confessare la strage che però non hanno compiuto». Una confessione squinternata, ma resa da entrambi. Perché? Risposta: «Ognuno era abbagliato dall’illusione che ciò potesse salvare l’altro dalla morte civile». Tradotto: «Lei ha ammesso di essere colpevole nell’assurda convinzione di salvare il marito. E viceversa». Secondo gli avvocati, i coniugi della strage dell’11 dicembre 2006 in cui morirono Raffaella Castagna e il suo bambino di due anni, Paola Galli e Valeria Cherubini, sono stati ingannati dai carabinieri che ai creduloni hanno «estorto le ammissioni con l’inganno». Per questo, aggiungono i legali, la loro mente andrebbe studiata e periziata. «Siamo davanti a una chiara incapacità di intendere e di volere. E non si capisce per quale ragione i giudici abbiano respinto in assise la richiesta di sottoporli a esame psichiatrico». L’ingenuità e la follia che li ha spinti a confessare, per poi ritrattare, ma non solo: nel corposo documento i punti e gli spunti sui quali discutere in appello sono anche altri. Per esempio l’omicidio della vicina Valeria Cherubini. «La donna fu pugnalata a morte nel suo appartamento e  non colpita lungo le scale per poi morire in casa sua, come ricostruito dall’accusa». Un dato fondamentale, per il collegio Pacia Schembri Bordeaux, «perché esso rende incompatibile la presenza di Olindo e Rosa nella palazzina. Al contrario, sarebbe stato impossibile per i soccorritori già arrivati nella palazzina attirati dal fumo dell’incendio, non smascherarli».  L’aggressore quindi «entra in casa Castagna per guadagnare una via di fuga: il terrazzino. E questo perché dalla porta della palazzina non si può più fuggire». Ci sono poi i «falsi ricordi» del sopravvissuto Mario Frigerio, marito della Cherubini,  diventato testimone chiave. I difensori cercano di minare la sua attendibilità. Affermano che il signor Mario nel primo interrogatorio, «pur ferito, ma lucidissimo, al magistrato che lo interrogava disse di non conoscere il suo aggressore  e indicava  tratti somatici che non corrispondevano a quelli di Olindo». L’uomo chiamò in causa lo spazzino presunto omicida nei successivi interrogatori e solo in aula lo riconobbe con certezza.  La difesa indica infine una strada da percorrere per individuare «i veri colpevoli». Ovvero quella mai esplorata della «vendetta trasversale finalizzata a punire il vedovo di Raffaella, Azouz Marzouk». Il tunisino incarcerato per droga aveva un lungo conto in sospeso con la criminalità organizzata. È fra i pezzi da novanta  dello spaccio che bisognava guardare. Infine il movente «inconsistente».  Lo dimostra la stessa sentenza di condanna, scrivono i difensori, «nel passo in cui si afferma che il progetto di eliminare i vicini di casa era vissuto da Olindo Romano e Rosa Bazzi  come necessitato e giusto, perché le vittime rappresentava ai loro occhi la minaccia di una rottura di quel loro equilibrio affettivo blindato e folle». Una spiegazione «che non ha nulla di razionale e fortemente sproporzionata». Un motivo in più per sospettare «dell’incapacità di intendere e di volere». Di entrambi gli Olindi.       Cristiana Lodi