Toghe all'assalto anche su Ruby

Lucia Esposito

In realtà Berlusconi non aveva tante speranze. Protesta, certo, contro una «decisione sbagliata», ma con meno veemenza che in altre occasioni. C’è della rassegnazione nell’uomo di Arcore. Il conflitto di attribuzione tra procura di Milano e Camera dei deputati sulla competenza del caso Ruby (tribunale milanese o tribunale dei ministri?) è finito sul tavolo della Corte Costituzionale. Organo che ha «undici componenti su quindici di sinistra», perché «espressione del Pd» o perché «indicati da Napolitano» che, «senza offesa», ma viene da «quella area politica». Dunque, quale motivo per sperare che la Consulta desse ragione alla Camera (e quindi a Berlusconi)? Hanno vinto le toghe milanesi, il processo per concussione e prostituzione minorile rimane a loro. «Mi aspetta un plotone di esecuzione», sospira l’ex presidente del Consiglio. All’inferno, insieme a lui, Clemente Mastella: la Consulta ha infatti respinto il conflitto di attribuzione sollevato dal Senato nei confronti della procura di Santa Maria Capua Vetere e del tribunale di Napoli. «Non è una sorpresa. Pazienza...», la prende con più filosofia l’ex ministro della Giustizia, oggi europarlamentare eletto con il Pdl. INDIGNAZIONE PDL Si indigna invece il coordinatore del Pdl Sandro Bondi. Ne fa una questione di divisione dei poteri: «Ci troviamo in una democrazia dimezzata che di fatto dipende da un potere costituzionale sovraordinato rispetto alla democrazia liberale classica, che trae la propria legittimità dalla sovranità popolare». Detta brutale: è l’ordine giudiziario che mangia in testa alla politica. A pranzo e cena. Il tutto arriva in una giornata per niente facile nei rapporti di buon vicinato tra Pdl, sinistra e governo. Tanto che Monti sente al telefono Berlusconi per un chiarimento. Specie sul no dell’esecutivo alle olimpiadi a Roma, una decisione che amareggia Silvio («Io avrei detto sì») e fa infuriare il partito azzurro, soprattutto gli ex An. In Transatlantico gli alemanniani adombrano addirittura il complotto massonico contro l’Urbe, per spiegare la decisione del governo. Certo, non è questo il giorno migliore per il dialogo bipartisan. Messo a dura prova anche da dichiarazioni come quella di Marilena Samperi, capogruppo Pd in giunta per le autorizzazioni: «La Consulta dimostra che la Camera è stata usata per gli interessi di Berlusconi». E apriti cielo. Oggi il gruppo parlamentare del Pdl si riunisce per discutere delle modifiche alla legge elettorale. Il rischio che diventi un’assemblea-sfogatoio è quasi certezza, dato il clima. La bozza Violante è “troppo” proporzionale per molti deputati azzurri, che chiedono sia preservato il bipolarismo. Magari  con il mantenimento di un premio di maggioranza che agevoli il formarsi di due poli. Non tre o quattro. Il cantiere è aperto, anche se i democratici chiedono tempi serrati: «Il testo entro Pasqua o non se ne fa niente», accelera Enrico Letta, parlando al convegno organizzato dall’associazione “Politica” presieduta da Michele Dau. Nel primo pomeriggio c’era stato un abboccamento un po’ carbonaro tra Violante (Pd), Quagliariello (Pdl), Bocchino (Fli), Adornato (Udc), Pisicchio (Api). C’è condivisione sulle riforme costituzionali. I punti sono quelli noti: riduzione del numero dei parlamentari, fine del bipolarismo perfetto, più poteri al premier. Sulle regole di voto la discussione è aperta, «ma le differenze di orientamento tra i partiti sono meno sostanziali di quello che appaiono», spiega uno dei partecipanti alla riunione. FUGHE IN AVANTI Il vertice tra   Partito democratico e terzo polo è ufficiale, invece, e si tiene alla Camera,  non in un posto segreto come l’altro. Al termine una nota congiunta informa che c’è accordo sulla «necessità di ridurre il numero dei parlamentari, già a partire dalla legislatura del 2013». E non solo: «È passata la linea del modello tedesco», annuncia Rocco Buttiglione, «ora pensiamo a un bipolarismo possibile, non imposto». Pd e terzo polo sono d’accordo. Per niente scontato, invece, l’ok del Pdl. di Salvatore Dama