"Senza armi né benzina". E la polizia s'incazza

Lucia Esposito

Oggi la polizia si riprende la piazza. I veri indignati sono loro, gli agenti che protestano contro i tagli al comparto sicurezza a Roma, davanti a Montecitorio, ma anche in altre città. Al sit-in fusti di benzina vuoti per chiedere simbolicamente ai cittadini una colletta per l'acquisto di carburante da destinare ai mezzi a secco per mancanza di risorse. Leggi il pezzo il pezzo del vicedirettore di Libero Fausto Carioti Servono poliziotti con la mira scarsa? Presto rischiamo di averne parecchi. Sino a cinque anni fa gli agenti si allenavano al poligono di tiro almeno una volta al mese. Poi arrivarono i tagli. Iniziò il governo dell’Unione: tra il 2007 e il 2008 Romano Prodi dette una sforbiciata al bilancio annuale del Viminale pari a 1,8 miliardi. Proseguì il governo Berlusconi nel 2008: 3 miliardi in meno nel triennio successivo per i comparti sicurezza e difesa (poi dicono che centrosinistra e centrodestra non sono d’accordo  su nulla. Ulteriori “razionalizzazioni” sono state operate sino a pochi giorni fa. Il risultato è che adesso i poliziotti si allenano a sparare ogni quattro o cinque mesi. Un po’ perché alcuni poligoni di tiro sono stati chiusi, un po’ perché si sono dovuti ridurre gli acquisti di cartucce, un po’ perché il numero degli agenti si va contraendo, e tenerli di pattuglia è più importante che farli esercitare. Chi può compra di tasca propria i proiettili per allenarsi. Tutto bene, finché l’agente di pattuglia che non si esercita da mesi non spara all’uomo sbagliato. Intanto un terzo delle automobili a disposizione delle divise è fermo in officina, in attesa che arrivino i soldi per i pezzi di ricambio. In compenso le vetture in grado di circolare sono usate sempre meno: sino alla fine di agosto ogni volante percorreva un centinaio di chilometri per turno; dal primo settembre, in seguito alle manovre di assestamento del bilancio pubblico, i buoni-benzina in dotazione alle volanti di polizia e alle gazzelle dei carabinieri sono diminuiti del trenta per cento. Così ogni vettura, in media, fa una settantina di chilometri per turno. In altre parole controlla una porzione di territorio inferiore. Ulteriori tagli sono previsti da novembre, tanto che a Roma si parla di ridurre il numero di volanti in circolazione: oggi in media ne sono in circolazione cinquanta per turno, tra qualche settimana il loro numero potrebbe ridursi di una decina (nel caso qualcuno avesse dubbi, le auto blu in circolazione nella capitale resteranno 150: quelle nessuno ha intenzione di tagliarle). Complici le proteste dei sindacati di polizia, ridotti alle elemosina - stamattina le chiederanno per protesta, tra qualche tempo chissà - la questione dei tagli è tornata in primo piano. Ma è facile simpatizzare con poliziotti e carabinieri dopo che nel centro di Roma sono stati assaliti da centinaia di teppisti e che un blindato è stato dato alle fiamme. Facile e strumentale soprattutto per la classe politica, che - salvo poche eccezioni, quasi tutte nel centrodestra - scopre in queste ore un’emergenza che dura almeno da un lustro, pronta a dimenticarla con la stessa rapidità. C’è solo un modo per fare le cose sul serio. È quello indicato dai sottosegretari Alfredo Mantovano (Interno) e Guido Crosetto (Difesa): «Per raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio il sistema sicurezza non può essere messo sullo stesso piano di altri settori dello Stato». Insomma, va bene stringere la cinghia, ma una cosa è ridurre i fondi per il cinema e un’altra lasciare poliziotti e carabinieri a piedi e male armati. Destinatario del messaggio, tanto per cambiare, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti: a lui e a Silvio Berlusconi si chiede, quantomeno, di rivedere tutte le riduzioni ai budget di sicurezza e difesa decise nel 2011 e destinate ad aggravare ulteriormente la situazione nei prossimi anni. La logica dei «tagli lineari» cara a Tremonti, per cui i fondi a disposizione di tutti i settori della pubblica amministrazione subiscono identica decurtazione, è politicamente comoda, perché nessuno può incavolarsi più degli altri, ma allo stesso tempo vigliacca - poiché dettata dalla voglia di non scegliere - e suicida, allorquando si traduce nella chiusura di servizi vitali. Se il prezzo da pagare per fare arrivare la volante in tempo sul luogo della rapina deve essere l’abolizione delle province o il dimezzamento delle poltrone della politica o l’azzeramento delle consulenze dei Comuni, gli elettori non hanno dubbi su cosa scegliere. In Parlamento, nella maggioranza e nel governo solo in pochi sembrano averlo capito. Ma è uno di quegli errori dei quali ci si ricorda al momento di andare a votare. di Fausto Carioti