Proprietario della Umbria Olii
Era il 25 novembre del 2006 quando a Campello sul Clitunno, comune di poco più di duemila anime nella provincia di Perugina, quattro operai morirono in un terribile incendio divampato nelle strutture della Umbria Olii, una delle società più importanti nella raffinazione degli olii d’uliva. Si chiamavano Tullio Mocchini, Giuseppe Coletti, Wladimir Toder e Maurizio Manili. Del gruppo si salvò solo Klaudio Demiri.Un fatto che colpì tutta l’Italia e che diede il via al dibattito sulla sicurezza sul lavoro nelle industrie di casa nostra. Sì cominciò a parlare di morti bianche, di operai che perdevano la vita perché le norme basilari di sicurezza non venivano rispettate oppure non c’erano del tutto. Negli ambienti parlamentari si iniziò a discutere di decreti e nuove leggi, un dibattito che non si è ancora esaurito. La vicenda torna di attualità dopo che Giorgio Del Papa, l’amministratore delegato dell’azienda di famiglia, sorta nel 1945, ha chiesto 35 milioni di euro di danni ai famigliari delle vittime. Dottor Del Papa, come ha trascorso questi ultimi due anni? “Sono stati 19 mesi da incubo. Sono stato additato come un assassino. Posso anche accertarlo dalle vedove, insomma, hanno perso un marito. Ma non posso accettare il fatto che a farlo siano stati dei politici. Avrebbero dovuto stemperare gli animi. Ed invece hanno provocato, cavalcato una lotta di classe contro l’imprenditore. Non è una cosa possibile nel 2008”. Si spieghi meglio. “La tragedia è stata cavalcata politicamente, basti pensare che da quel fatto è stata lanciata l’iniziativa dell’anno delle morti bianche. Il presidente della Regione, l’allora ministro del Lavoro Damiano e il presidente della Camera Bertinotti sono venuti a rendere omaggio alla vittime, per le quali ho pianto anche io. Ma la sicurezza dell’azienda era totale, in tanti anni non ha abbiamo mai avuto, dico mai, un incidente. Eppure tutte le colpe sono state imputate all’azienda ed io sono rimasto esterrefatto, allibito”. Bertinotti e Damiano: due campioni nel farsi difensori dei lavoratori. Hanno mai parlato con lei? L’hanno mai incontrata? “No. Mai. Damiano è venuto tre volte, tre volte di fronte ai miei cancelli. Era anche il mio ministro, perché era il ministro del Lavoro ed io lavoro, do lavoro. Ma non sono mai stato interpellato, mai nessuno mi ha rivolto la parola”. Davvero due anni d’inferno. “Non ho avuto molto spazio in questo periodo. Sono stati scritti almeno trecento articoli contro di me e fatti una sessantina di spot televisivi denigratori, uno anche da Enzo Biagi prima che morisse”. Addirittura? “Sì, sì. E’ stata portata avanti una campagna di stampa vergognosa, sono stato processato sui giornali e sono stato indicato come il colpevole. Mi hanno chiesto 14 milioni di danni, non solo i famigliari più stretti, ma anche i parenti alla lunga delle vittime”. Veniamo a quel giorno. Cosa è andato storto? “Guardi, le dico che la ditta appaltatrice che stava conducendo i lavori era la stessa con la quale lavoravamo da otto anni e di cui era a capo Maurizio Manili, una delle vittime. Hanno costruito loro i serbatoi, i capannoni e i tetti, conoscevano perfettamente ambiente e anche i miei dipendenti. Manili era il nostro consulente. Ha costruito gli impianti, capisce? Ci servivamo esclusivamente di lui, era una persona capace e nel tempo si era stabilito un rapporto di stima. Sa come vanno a finire queste cose, no? Dopo così tanto tempo assieme si diventa amici, ci si racconta un po’ tutto”. Certo, è normale direi. Quindi tutto questo vuol dire che erano a conoscenza di ciò che andava fatto e non fatto tra quei silos? E che quindi sapevano che non andava utilizzato del materiale per la saldatura, che poi sarebbe il motivo che ha provocato l’incendio? “Esattamente. Sapevano, li hanno costruiti loro ripeto e conoscevano l’intero ambiente di lavoro”. E allora da dove è nata la richiesta dei 35 milioni di euro ai famigliari? “Io e il mio legale ci siamo rivolti al tribunale di Spoleto per avere un atp, un accertamento tecnico preventivo per quantificare i danni. Perché comunque come società abbiamo avuto un danno enorme, un intero stabilimento, capisce? Il tribunale ha nominato un tecnico con lo scopo di quantificare i danni e di accertare le cause. E i danni ammontano a 35 milioni di euro, da qui la nostra richiesta”. Mentre la causa scatenante è stato l’utilizzo di una saldatrice dove non andava usata. Come vi difenderete ora? “Ci difenderemo in tutte la maniere. Per quanto in questi anni sia stato fatto un lavaggio del cervello da parte della stampa. Una volta si chiamavano incidenti, ora li chiamano omicidi e io non voglio passare per un omicida. La fabbrica è andata distrutta e c’è stata la morte civile dell’imprenditore. E poi c’è la Regione Umbria…”. In che senso? “La Regione, oltre a costituirsi parte civile contro di me, chiedendomi così anche lei quei 14 milioni di euro assieme alle famiglie, ha chiesto una sovvenzione da parte dello Stato. E’ uscita sulla Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre 2006. 40 milioni di euro per i danni provocati dall’esplosione al comune di Campello”. Tutto vero: nel “Supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale” del 27 dicembre di due anni fa, si legge: “E’ autorizzata inoltre la spesa di 5 milioni di euro per l’anno 2007 e di 35 milioni di euro per anni 2007 e 2008 per la regione Umbria colpita dagli eventi meterologici del novembre 2005 e per il ristoro dei danni causati dall’esplosione verificatasi nell’edificio “Umbria Olii” nel comune di Campello sul Clitunno in provincia di Perugia”. Si sommano quindi ai già citati 14 milioni. E sono arrivati? “Se lo Stato ha elargito i denari, questi sono stati destinati ad altre cose, a me non è arrivato niente quando anche io ho subito un gravissimo danno, un’intera azienda distrutta. Qui si tratta di due avere e nessun dare. La Regione vuole incassare due volte, una da me e una dallo Stato”.