Ramy

Ramy Elgaml, la perizia scagiona i carabinieri ma la sinistra non si scusa

Pietro Senaldi

Mannaggia al complesso di Fonzie, che la divora. Il variegato universo della sinistra, è sempre più diviso, ha una caratteristica comune a tutte le sue componenti: non ce n’è una che ammetta i propri errori e, casomai, si scusi. Certo, visto la frequenza delle topiche che i compagni infilano, dovessero fare ammenda ogni volta, passerebbero il tempo a fare solo quello. Però nei casi più eclatanti si potrebbe fare un’eccezione alla regola che unisce tutti, da Salis a Sala, del far finta di nulla e cercare di scivolare indisturbati sulle pozzanghere di letame che si sono pestate.

Si prenda per esempio il caso di Ramy Elgaml, il giovane immigrato di seconda generazione morto in un sabato notte di novembre a Milano in uno schianto mentre fuggiva dai carabinieri. Per quattro mesi la sinistra ha puntato l’indice contro le forze dell’ordine, ha fatto cortei invocando la verità per Ramy e ha posto le basi per una rivolta delle periferie ad alto tasso di immigrazione, alimentando l’odio sociale. Poi, due giorni fa, la relazione dei periti della Procura ha rivelato che gli agenti, scaricati perfino dall’ex capo della Polizia, Franco Gabrielli, ai tempi super consulente del Comune per la sicurezza, si sono comportati da manuale. Nessuno speronamento, procedure rispettate, tentativo disperato di evitare l’impatto con lo scooter in fuga. Se Ramy è morto, insomma, secondo i periti è perché il suo amico guidava come un pazzo, mettendo a rischio la vita di tutti, inseguiti, inseguitori e passanti. Non ci voleva molto a capirlo, e infatti Libero lo ha scritto fin da subito.

 



Solo la cieca ideologia e un astio per le forze dell’ordine che in alcuni casi sfiora l’odio poteva portare a una lettura diversa. Ebbene, nessuno tra gli accusatori ha fatto pubblica ammenda, nessuno se l’è sentita di scusarsi con i carabinieri. Non stupisce un tale comportamento da parte dell’estrema sinistra, dei centri sociali, del cosiddetto mondo Salis. Però dal sindaco Beppe Sala, un moderato, uno che, è vero, si è messo la maglietta di Che Guevara, ma solo per prendere qualche voto in più, mica per fede, è che è stato direttore generale di Letizia Moratti, quando era lei a sedere a Palazzo Marino, qualcosina era lecito aspettarsela. Si comprende che deve tenere a bada i bassi istinti della parte estremista della sua maggioranza, però una mezza parola gli sarebbe costata meno, anche in termini di consensi, che condannare le violenze sulle donne dei giovani musulmani a Capodanno in piazza Duomo. Invece niente.

Il discorso però non può essere limitato solo a Sala. Va esteso a tutta la parte moderata del Pd, se ancora vive e lotta per qualcosa. Perché a forza di avere questi atteggiamenti da assemblea studentesca, di atteggiamenti ambigui e di contendersi l’estremismo con i grillini e Fratoianni, i progressisti dem rischiano di perdere la sola cosa che il Pd ha sempre vantato e che gli ha permesso di non pagare a carissimo prezzo i tanti errori di visione politica commessi. Stiamo parlando della cultura di governo, quella che ti fa stare, almeno quando una perizia della Procura te lo consente, dalla parte di chi cerca di far rispettare la legge anziché, aprioristicamente, da quella di chi la vìola. Per puro spirito polemico, ma anche qui senza stupirsi, si fa notare che la grande stampa che aveva dato massimo risalto ai cortei contro i poliziotti e aveva sostenuto la tesi colpevolista dei carabinieri ha riportato la perizia che li scagiona limitandosi alla fredda cronaca. E senza chiedere alcunché ai facili accusatori.