L'intervista
Vittorio Feltri: "Stasi? Avevo ragione io, è innocente. Ha pagato la sua faccia e le fesserie dei magistrati"
Direttore, è appena arrivata in redazione la notizia di un nuovo indagato nel caso Garlasco. Cosa ne pensa?
«Sono sorpreso, quasi commosso. Non ci speravo più».
Ha sempre sostenuto l’innocenza di Alberto Stasi. E scusi se glielo dico, ma sembrava una mosca bianca in un Paese ostinatamente colpevolista. Quel ragazzo era l’assassino perfetto per tutti. Invece pare che avesse ragione lei, se adesso emerge un nuovo indagato. Accusa di omicidio in concorso...
«Evidentemente i fatti mi stanno dando ragione, con molto ritardo rispetto a quello che mi sarei aspettato. Ma, come si dice, meglio tardi che mai».
Che cosa la lasciava perplesso?
«Tutto quanto. Dalle indagini alla vicenda giudiziaria. Stasi viene processato in Corte d’assise e assolto per mancanza di elementi di colpevolezza. La pubblica accusa, come spesso avviene (anche se non comprendo come un pm possa impugnare il verdetto di un collega togato), fa ricorso. E in secondo grado il giudizio non cambia di una virgola. Poi non so che cosa accada, ma la Cassazione lo condanna. Sedici anni».
Un’ingiustizia?
«Acclarata, e per me evidentissima. Aggiungo che sedici anni sono un’eternità per un ragazzo che evidentemente ha perduto in carcere gli anni migliori della sua vita».
Cortocircuito tra giudici?
«Non serve essere giuristi per capire che la Cassazione ha dato degli imbecilli ai giudici di primo grado e secondo grado. Converrà con me che si tratta di una procedura altamente improbabile. E anche questo mi ha confortato nella mia idea che Stasi fosse innocente. Se due Corti ti assolvono e una terza ti condanna, come si fa a non essere scettici?».
Qualcuno potrebbe parlare di scontri tra procure.
«Mah... $ possibile. Io penso che peggio dei magistrati ci siano solo i giornalisti. L’importante adesso è che venga riconosciuta la sua innocenza».
Lei spesso ha criticato le indagini.
«Le indagini e le deduzioni tratte da quelle indagini erano chiaramente errate. Avevo capito subito che quel ragazzo non c’entrava nulla. Poi davanti alla condanna mi sono arreso».
Non c’erano prove?
«Neanche una vera e concreta. I pedali della bicicletta; le scarpe da ginnastica; lei che aveva aperto la porta all’aggressore, quindi per tutti era inevitabile che fosse Alberto. Ma non c’erano l’arma del delitto e neppure il movente. Anche la faccenda del materiale pornografico era subito caduta. E poi gli orari, mi scusi. Stasi non avrebbe potuto uccidere Chiara Poggi semplicemente perché nell’ora in cui Chiara veniva uccisa lui era a casa sua e lavorava alla sua tesi di laurea. Sul pc resta la memoria di tutto ciò che si fa. Come è possibile che non sia emerso? Sa che cosa penso?».
Mi dica.
«Che quelle che venivano definite prove inconfutabili fossero solo frattaglie e sospetti ingigantiti dai mass media affamati di un mostro credibile da sbattere in prima pagina. Stasi peraltro sembrava il colpevole perfetto. Perbene. Educato. Mai un comportamento scomposto o una frase sopra le righe. La gente ci sguazza in certi delitti, e se il colpevole ha l’aria di essere un contabile serio che va fuori di testa e ammazza la sua fidanzata, trae un certo godimento».
E poi a Garlasco non si muoveva foglia. Qualcuno disse che c’erano solo Stasi e Chiara Poggi in quei giorni di agosto.
«Un paesino di poche anime dove si conoscevano tutti e all’improvviso arrivano i riflettori della stampa. Ovvio che si volesse trovare qualcuno da spedire in gabbia. Non voglio mettermi in cattedra. Diventa difficile contestare la magistratura che ha le carte. Ma io ho usato la mia logica. Ho incontrato gli avvocati. Ho parlato con quel ragazzo e mi sono fatto una mia opinione».
Malagiustizia?
«Parlerei di un complesso di fesserie commesse sulla pelle di un giovane che non meritava nessuna punizione. Chiara lavorava, conduceva una vita sua, evidentemente aveva amici e conoscenti come tutti i giovani di quell’età. Ma non hanno fatto nessuna indagine nell’ambiente di lavoro di lei, magari un innamorato deluso, magari un collega arrabbiato...».
Un mese fa si è messa in mezzo anche la Corte Europea, che ha bocciato il ricorso di Alberto. E anche allora, direttore, lei ha scritto in difesa dell’imputato e contro l’accanimento giudiziario.
«L’ennesimo fatto che mi ha sconvolto e addolorato. Stasi chiedeva solo l’opportunità di far testimoniare una signora – mi pare fosse la vicina di casa di Chiara – che nei minuti in cui si consumava il delitto avrebbe visto una bicicletta da donna appoggiata al marciapiede dell’abitazione dei Poggi. Ma è arrivato il no della Corte. A dimostrazione di quanto possa essere fallimentare un sistema giudiziario se persiste nel lasciare in galera un ragazzo pur in assenza di elementi certi».
Cosa pensa del nuovo indagato?
«Bisogna essere cauti, soprattutto alla luce dell’esperienza passata. Non lo conosco e non ho seguito nel dettaglio la vicenda che ha portato a individuarlo. Il mio pensiero va solo ad Alberto. Che si è fatto 14 annidi galera da innocente».
È stata l’inchiesta più pasticciata che ricorda?
«Uguale al caso Tortora. Imperizia da parte della magistratura. Il punto è che l’ordinamento della giustizia a volte non funziona, come tutte le cose umane».
Finirà bene?
«Quando si sbaglia una volta, poi ti aspetti che sia facile sbagliare una seconda. Questa è la prassi e il convincimento generale. Io mi auguro che si arrivi presto a stabilire l’innocenza di Stasi».
Anche nel caso di Erba lei ha avuto una posizione innocentista.
«Anche lì non mi hanno convinto le indagini e le prove raccolte. Furono condannati per una strage efferata e una confessione rilasciata non so a chi e non so come. Quattro morti e non una traccia di sangue sui vestiti, nelle docce, nei lavandini... Dopo tanti anni di cronaca comincio a pensare che ci si debba fidare più dell’ingiustizia che della giustizia».
Lei e Stasi siete diventati amici.
«Mai abbandonato, neanche un momento. L’ho incontrato proprio la settimana scorsa e l’ho sentito due giorni fa. E' un carissimo amico, un bravo ragazzo, intelligente, laureato alla Bocconi. Ha un buon lavoro da contabile, esce la mattina dal carcere e ci torna alla sera».
Come lo ha visto?
«Un ragazzo sereno. Ma gli hanno rovinato la vita».
Pensa che se sarà stabilita la sua innocenza potrà avere un risarcimento?
«Nessun risarcimento potrà mai ripagarlo di quello che gli è capitato. Cosa vuoi risarcire di fronte a una vita stroncata così?».
Cosa prova, direttore?
«Come ho detto, sono commosso e provo tenerezza per Alberto. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi. La sua ragazza trucidata in quel modo, e lui disperato per la perdita terribile e per le accuse. Si proclamava innocente, ma era chiaro che avevo davanti a me una persona timida, messa di fronte a una prova immane. O hai una capacità difensiva irruente, o sei finito. Lui però ce l’ha fatta, e ha tenuto duro nonostante le apparenze. Sarei felice che uscisse presto di galera e potessimo andare a cena liberamente come due persone civili e libere».
Se la sarebbe mai aspettata una svolta del genere?
«Assolutamente no. Era passato troppo tempo, le confesso che la novità mi rallegra la giornata. Vediamo come va a finire».
Mi sembra perplesso, direttore.
«Ho sempre dei dubbi, e resto sempre un po’ scettico...».