Recidiva
Statale, l'università democratica: possono parlare solo i proPal
Essere buoni profeti è spesso tristemente facile: basta prevedere il peggio e si hanno ottime probabilità di azzeccare il pronostico. Proprio ieri mattina Libero ha riproposto il tema della libertà di parola nelle università italiane, segnalando un curioso doppio standard, un bizzarro meccanismo a targhe alterne.
Da un lato, dopo il 7 ottobre, è sempre scattato il semaforo verde non solo per conferenze e convegni pro -Pal, ma anche per manifestazioni caratterizzate da atti e slogan violentissimi, al limite dell’apologia di Hamas. Ma tutto è stato sempre tollerato. Su queste pagine, non leggerete mai richieste di censura verso chicchessia. Ma è per lo meno contraddittorio il silenzio di chi ci ha ammorbato per anni con campagne politicamente corrette contro i “discorsi d’odio”, salvo poi rimanere muti -sordi -ciechi davanti ai piccoli fans del terrorismo palestinese.
Dall’altro lato, invece, non si contano gli episodi di aggressione nei confronti di studenti, professori o anche semplici invitati a conferenze sospettati di sostenere tesi filo -Israele. E, quando è andata meglio (si fa per dire), nel senso che non c’è stato uno scontro fisico effettivo, si è comunque provveduto a impedire convegni e conferenze per cosiddette ragioni di sicurezza. Con ciò dando partita vinta ai violenti anti-Israele.
Il 7 maggio 2024, ad esempio, alla Statale di Milano era stato previsto un convegno organizzato dall’associazione Pro Israele dal titolo “L’unica democrazia del Medioriente. Israele fra storia e diritto internazionale”. Tali furono le minacce che la conferenza fu cancellata. E gli organizzatori - a nostro avviso giustamente rifiutarono l’offerta delle autorità accademiche di svolgere la discussione soltanto online. Sarebbe stata la certificazione di una capitolazione: essere confinati in una dimensione esclusivamente virtuale, con lo spazio fisico dell’università invece garantito per i sostenitori delle tesi avverse. I quali infatti - in precedenza avevano potuto tranquillamente tenere i loro eventi e seminari.
E adesso? Qualcuno si è forse posto il problema di sanare quella ferita e di riequilibrare la discussione? Macché. Al contrario, domani, 11 marzo, sempre alla Statale (Scienze politiche), si terrà il convegno ultra pro-Pal dal significativo titolo: “Gaza: la strage e l’indifferenza”. L’evento, in collaborazione con il “Coordinamento Unimi per la Palestina”, e nell’ambito del corso di “Storia e istituzioni dei paesi musulmani”, vedrà come relatrice principale la solita Francesca Albanese (relatrice speciale Onu per la Palestina), accompagnata da una esponente di Amnesty International e da una studentessa di Gaza. Introdurrà i lavori la professoressa Elisa Giunchi, titolare del corso di “Storia e istituzioni dei paesi musulmani”. Non è prevista - da quanto si può desumere- alcuna voce di segno diverso, né un contraddittorio, né un minimo di riequilibrio.
Quindi, ricapitolando: i convegni pro Pal si possono tenere regolarmente, con tutte le garanzie e senza alcuna esigenza di sentire voci opposte, mentre i convegni pro Israele sono materialmente impossibili da svolgere.
Contro tutto questo, torniamo a ribadire la necessità di compiere un passo rigorosissimo e di limpida impronta liberale classica, e cioè quello di ritirare i finanziamenti pubblici a qualunque luogo o istituzione pubblica dove siano avvenute forme di censura, dove la libertà di parola sia stata conculcata o garantita solo a giorni e casi alterni.
Mettiamola così. L’ala sinistra della politica americana ha coniato negli anni scorsi uno slogan orrendo, che ha prodotto guai inenarrabili: defund the police.
Cioè, alla lettera, definanziare la polizia, spostare risorse destinate alle forze dell’ordine e indirizzarle altrove. Tragico errore, che ha delegittimato la polizia, aumentando la propensione al disordine e alla sicurezza. Noi dovremmo invece- lontano da ogni estremismo illiberale - realizzare un sano defund censors: togliere i fondi ai censori, agli imbavagliatori, a chi vuole precludere una discussione libera e aperta.
E ciò qualificherebbe - anche in Italia - la missione a cui la destra liberalconservatrice è chiamata in questa fase storica: dare aria alla stanza, aprire porte, spalancare finestre. Garantire libertà nella e della cultura, contro tutti quelli che- da troppi anni- l’hanno assicurata solo ai portatori di posizioni orientate da una certa parte.