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"Uccidere un fascista non è reato": alla Sapienza tornano gli slogan dell'odio

Alberto Busacca
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Un passo alla volta ci siamo arrivati. «Uccidere un fascista non è reato». Il coro, tipico dei cortei violenti degli anni Settanta, è risuonato all’università La Sapienza di Roma pochi giorni fa. Insomma, siamo nel 2025 ma qualcuno pare non essersene accorto. Raccontare quello che è successo è purtroppo molto semplice. Gli studenti di Azione universitaria (di destra, per capirsi) si erano organizzati per fare una raccolta firme all’interno dell’ateneo. Una cosa normalissima, ovviamente, ma per i giovani di sinistra che qualcuno la pensi in maniera diversa da loro, e voglia pure dirlo, è una provocazione inaccettabile. Così i suddetti compagni hanno iniziato a minacciare i loro avversari, intonando cori come “siamo tutti antifascisti” e poi “uccidere un fascista non è un reato”. «Stavolta gli antagonisti non sono riusciti a sottrarre il nostro materiale, siamo riusciti a tenerlo con noi senza indietreggiare», ha spiegato Luca Tallarico, presidente di Azione universitaria alla Sapienza. E ancora: «Dopo le provocazioni fisiche, i militanti di sinistra hanno fatto anche cadere a terra un ragazzo che si trovava sul posto.

Vogliamo che vengano chiariti i rapporti tra le liste dei collettivi che cercano di bloccare il dibattito e quelle di centrosinistra. Dagli ultimi ci aspettiamo una ferma condanna di quanto accaduto». Ecco, raccontata la storia, ora vanno fatte alcune considerazioni. Partiamo dalla condanna dell’accaduto. Condanna che, da sinistra, naturalmente non è arrivata. In questi casi bisogna fare sempre il solito banale giochino: immaginate se un gruppo di ragazzi di destra avesse aggredito gli studenti di sinistra bloccando una loro iniziativa e invitando ad ammazzarli... sarebbero come minimo fioccate le richieste alla Meloni di presentarsi in Parlamento per spiegare e dissociarsi. Ma quando i violenti sono giovani antifascisti (cosa che capita spesso, verrebbe da dire praticamente sempre), allora gli esponenti della sinistra istituzionale perdono improvvisamente il dono della parola. Silenzio.

 

Anzi, diciamola tutta: silenzio nel migliore dei casi. Sì, perché in passato i violenti sono stati addirittura coccolati, come ad esempio nel caso degli scontri tra studenti di destra e di sinistra davanti ai licei Michelangiolo di Firenze e Pigafetta di Padova, quando gli esponenti del Pd sono stati rapidissimi (come sempre) a gridare al pericolo fascista, sorvolando però sul fatto che in entrambe le situazioni i giovani compagni avevano cercato di impedire agli altri di distribuire i loro volantini. È così difficile per gli adulti progressisti spiegare ai loro rampolli che democrazia è anche lasciare che chi non la pensa come loro possa esprimere le sue idee serenamente? Evidentemente sì...

E finiamo con lo slogan incriminato, “uccidere un fascista non è un reato”. Perché siamo arrivati al punto di doverlo riascoltare? Bè, è possibile che a furia di sentire politici “democratici” che mettono in guardia sul ritorno del fascismo, qualche ragazzino ci abbia creduto sul serio. Pensando che sia giusto rispondere come la sinistra di una volta. E allora c’è il rischio di un ritorno alla violenza politica? Purtroppo non si può escludere. Ma va detto che cinquant’anni fa la follia estremista era diffusa in un’ampia fascia di ragazzi. Oggi, invece, riguarda per fortuna pochissimi nostalgici del peggior antifascismo militante...

 

 

 

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