Il caso

La lezione del 13enne che si ribella al pensiero unico della scala Lgbtq+

Annalisa Terranova

Innanzitutto chiariamo una cosa: puoi salire anche dieci volte una scala “arcobaleno” a scuola, a teatro o dove vuoi e risultare poi un violento, un bullo, uno per nulla inclusivo insomma. E al contrario puoi non salire su una scala del genere e risultare una persona rispettosa delle idee e delle altrui identità. Si dirà: perché allora un tredicenne in una scuola di Verona non ha voluto percorrere la gradinata coi colori delle bandiere Lgbtq+? Per anticonformismo, per spirito di ribellione, per farsi notare, perché è un disobbediente per natura, perché in famiglia avrà sentito qualcosa che lo ha indotto a quella scelta. O per mille altre ragioni.

Detto questo, non si trattava della Scala santa, e anche sedi tale ascesa si fosse trattato, il ragazzino ha tutto il diritto a negarsi a un indottrinamento, peraltro inutile. Quell’alunno si è beccato una nota, i genitori hanno protestato, la politica è intervenuta, in particolare la Lega se l’è presa con l’ideologia gender che si vorrebbe imporre nelle aule. Tanto rumore, troppo, per il gesto ribelle di un tredicenne. Con tutto ciò che avviene nelle aule e che spesso i video degli stessi studenti impietosamente ci restituiscono, sarà un problema il “no” alla scalinata arcobaleno di questo alunno? La scuola intanto si difende e spiega il perché della nota osservando che il ragazzo, per evitare i gradini, si è pericolosamente arrampicato alla ringhiera, ponendo in essere un comportamento a rischio da sanzionare affinché non venga a ripetersi in futuro. I genitori non appaiono convinti. Difficile stabilire se sia la famiglia del ragazzino ad aver montato un caso sul nulla o se sia stato l’istituto a maneggiare con poca cura la questione quasi che i colori arcobaleno potessero vantare una sacralità che una scuola davvero laica dovrebbe del tutto ignorare. Fatta fuori l’ora di religione (uno studente su quattro non la segue) non pare proprio il caso di inserire altre “religioni” tra cui quella che promuove la caccia all’omofobo, soprattutto se il presunto colpevole ha solo 13 anni.

 

 


Col ragazzo si poteva tranquillamente parlare, ascoltarne le ragioni, rispettare le sue opinioni. Ma come, tutti a lagnarsi contro la scuola repressiva che fa tornare il voto in condotta e poi si punisce uno che ha detto “non condivido i valori Lgbt”? Il sospetto di me taforiche bacchettate di natura ideologica è più che lecito. Almeno l’episodio un merito lo ha avuto: riportare la discussione al nocciolo vero, e cioè se la scuola debba o no tutelare la pluralità delle idee e considerare il punto di vista delle famiglie. Certo che deve, così come deve educare al rispetto di tutti e tutte, usando la parola e l’ascolto, senza la necessità di trasferire i simboli del Pride sulle scale degli istituti. Anche perché, se proprio dovessimo fare un elenco delle priorità della scuola, dipingere i gradini non si trova proprio ai primi posti: in cima alla classifica magari ci sono altri punti: palestre funzionanti, tempo pieno, biblioteche ben fornite, più tutele per l’alternanza scuola-lavoro. Poi, perché no, ci si può pure divertire con vernice o pennarelli, ma solo quando tutto il resto, ben più importante, è assicurato.