
Iris Setti stuprata e massacrata a Rovereto: ergastolo al nigeriano

"Sono in carcere e piango tutto il giorno. Non ho fatto niente, per favore aiutatemi". Non sono servite queste parole a Chuckwuka Nweke: il 39enne di origine nigeriana è stato condannato all'ergastolo per l'assassinio di Iris Setti, avvenuto il 5 agosto di tre anni fa mentre la 61enne attraversava il parco pubblico Nikolajevka di Rovereto, in Trentino. L'uomo è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario aggravato, rapina e violenza sessuale.
La sentenza è arrivata dopo una camera di consiglio durata oltre sei ore. La Corte d'assise di Trento ha accolto la tesi dell'accusa: la corte, presieduta dal giudice Rocco Valeggia, ha rigettato in toto la richiesta di riconoscimento dell'incapacità di intendere dell'imputato al momento del fatto, avanzata dalla difesa ed ha escluso anche l'applicazione delle attenuanti generiche.
L'omicidio di Iris Setti aveva sconvolto l'intera comunità della Vallagarina, per l'efferatezza con cui era stato compiuto ai danni di una persona conosciuta e stimata all'interno della comunità. La donna stava rientrando a casa dopo una serata trascorsa a casa della madre anziana quando venne brutalmente aggredita ai giardini pubblici Nikolajewka, stuprata e poi rapinata di un anello. Trasportata d'urgenza all'ospedale Santa Chiara di Trento, era poi deceduta nel corso della notte tra il 5 e il 6 agosto a causa delle ferite riportate nell'aggressione. Dall'autopsia era emerso che sono stati sferrati non meno di 49 colpi, in buona parte portati al volto della vittima.
Durante la requisitoria, il pm Fabrizio De Angelis aveva parlato di "un'aggressione di una violenza inaudita". Secondo la sua ricostruzione, "l'azione violenta di Nweke, pur portata con le mani, aveva la volontà di uccidere". Nel corso del dibattimento, la difesa, assunta pro bono dall'avvocato Andrea Tomasi, presidente dell'Ordine degli avvocati di Rovereto, aveva posto l'accento sull'imputabilità di Nweke, rilevando una possibile incapacità di intendere e volere e avanzando la tesi della cosiddetta "sindrome di Koro". Ma la perizia effettuata durante l'incidente probatorio da parte dello psichiatra Fabio Bonadiman e confermata dal consulente tecnico nominato dal pubblico ministero, lo psichiatra Ermanno Arreghini, ha smontato questa ipotesi.
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