Il futuro della Chiesa
Papa Francesco malato, è già tam tam Conclave: spunta il Papa nero
Non è tanto questione di corvi o complotti, che per la verità in un ambiente complicato come il Vaticano certo non mancano. In effetti è normale che in questi giorni difficili, con il Papa che combatte la sua battaglia quotidiana contro la malattia, ritorni in primo piano il tema, mai veramente accantonato, del “post Francesco”, e dunque degli schieramenti che già si stanno “studiando” in vista del futuro Conclave.
Un esercizio spesso ozioso - va sempre ricordato il famoso adagio, “chi entra Papa esce cardinale”, che ironizza sulle previsioni in ordine proprio all’elezione del nuovo Pontefice. In ogni caso, il “chiacchiericcio” (termine spesso usato dallo stesso Francesco per stigmatizzare comportamenti anche all’interno della Chiesa) sulla salute del Papa non si è mai sopito, anche prima di quest’ultimo ricovero. E nasconde questioni più serie e colme di conseguenze. Ad alimentarlo, anche il recente Concistoro ordinario - del dicembre scorso - per la creazione di nuovi cardinali: una vera “infornata”, 21 in tutto, di cui 20 elettori (perché con meno di 80 anni di età, e dunque con diritto di ingresso in un eventuale Conclave). In realtà, la scelta del futuro Pontefice potrebbe rivelarsi tra le più complesse dei tempi più recenti.
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Il Collegio cardinalizio si compone oggi di 253 cardinali, di cui 140 elettori in un futuro Conclave e 113 non elettori. Ad oggi, i cardinali viventi creati da Papa Bergoglio sono 149. Di questi, 110 potrebbero varcare la soglia della Cappella Sistina, numero che costituisce la stragrande maggioranza di quelli abilitati a entrare in Conclave.
Tuttavia, non si può parlare di un vero “blocco bergogliano”, di un gruppo omogeneo e compatto: molti tra di loro non si conoscono, non hanno un’assidua frequentazione del Vaticano e delle varie gerarchie, vengono da territori remoti o da diocesi piccole, disseminate nei vari continenti. Proprio ciò che ha spinto da sempre Francesco a privilegiare una Chiesa meno eurocentrica.
In questo gruppo sono presenti anime ben diverse, Ci sono gli ultra-progressisti, a volte persino più “bergogliani di Bergoglio”: tra i nomi maggiormente in vista, l’arcivescovo del Lussemburgo, Jean-Claude Hollerich (a favore di un radicale aggiornamento del Catechismo della Chiesa sull’omosessualità); il brasiliano Sérgio da Rocha, arcivescovo metropolita di São Salvador da Bahia; l’arcivescovo di Barcellona, Juan Josè Omella, dalla cui comunità catalana è giunta la richiesta dell’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale e dell’ordinazione per le donne. E fanno parte del cosiddetto C9, il Consiglio dei cardinali creato da papa Francesco, di cui il Santo Padre si serve come strumento di supporto nel governo della Chiesa.
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I nomi che escono di continuo in questi mesi di “chiacchiericcio” circa le condizioni di salute di Papa Francesco sono stati inoltre rilanciati di recente dal sito statunitense “College of Cardinals Report”, il quale riassume nomi e origini di tutti i 138 candidabili. Insomma, i dossier dei cardinali considerati in pole position, cosa che peraltro non ha mancato di suscitare qualche irritazione Oltretevere. Tra di essi vi è il Patriarca di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, figura di spicco anche per la testimonianza di fede che porta avanti da tempo nel luogo probabilmente più complicato del pianeta, in Medio Oriente. E poi ancora, il cardinale Pietro Parolin, il cardinale filippino Luis Tagle, arcivescovo di Manila, e anche il numero 1 della Conferenza Episcopale Italiana, Matteo Zuppi, tutti molto in linea con le posizioni e l’operato di Francesco.
Dall’altra parte si pone il cosiddetto tradizionalismo dottrinario, incarnato ad esempio dal neocardinale Francis Leo, arcivescovo di Toronto, o da quello che è stato definito l’arcinemico del Pontefice, il tedesco Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, cresciuto nell’era Ratzinger e fatto cardinale da Bergoglio, poi posizionatosi dall’altra parte della “barricata” e diventato sempre più critico nei confronti della linea di governo di Francesco.
È poi noto che il nucleo di opposizione più forte e visibile è costituito da molti prelati statunitensi, con ripercussioni anche in Curia. Buona parte dei vescovi americani, ora, non intendono andare allo scontro con il presidente Trump, nonostante l’esplicito richiamo di Papa Francesco in una dura lettera contenente «il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità». Per molti di loro Trump, in termini di libertà religiosa e tutela della sacralità della vita, dà più garanzie del cattolico Joe Biden. La complicata situazione della Chiesa negli Usa, secondo molti osservatori, rende quindi l’ipotesi di un Papa americano piuttosto remota.
E un Papa africano? Se ne parla da tempo, e ora i tempi potrebbero essere favorevoli per una scelta di questo tipo. In tal senso c’è un nome e un profilo di grande carisma, sempre più in vista, dentro e fuori il clero africano, ed è praticamente sempre presente nelle più recenti liste di cardinali papali: si tratta dell’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo Besungu, che ha guidato la levata di scudi contro il documento dell’ex Sant’Uffizio - dunque approvato da Bergoglio - con cui si apre alla possibilità di una benedizione delle coppie omosessuali. Molto coraggioso anche nel denunciare violenze e degrado in alcune zone della Repubblica democratica del Congo e in tante regioni del continente africano. Chissà che non si vada davvero verso un Papa nero.