La storia

Guzzini compra una crosta al mercato: poi la clamorosa scoperta, è un Modì

Claudia Osmetti

Sprovveduto, Paolo Guzzini, non lo è per niente. Epperò la sua storia è quella di un grosso “colpo”. Di fortuna, in un certo senso, ma anche di occhio. Guzzini è un imprenditore marchigiano, è l’ex titolare della IGuzzini Illuminazione, una delle più importanti società di illuminazione architetturale che, dal 2019, fa parte del gruppo svedese Fagerhulte: soprattutto è un collezionista d’arte e uno con un fiuto invidiabile. Una quindicina di anni fa, Guzzini, si trova in un mercatino Le Mans, nella Loira francese, e sta spulciando tra i quadri che, ogni settimana, i rigattieri mettono in vendita.

Ce n’è uno che cattura la sua attenzione: è un ritratto, ma non è tanto il dipinto a incuriosirlo quanto un misterioso timbro presente sul retro della tela. È lo stampo di una bottega di Montmartre, il celebre quartiere collinare di Parigi che non serve essere un critico di fama internazionale per accostarlo agli artisti e ai pittori più famosi del mondo. Ci sono passati Picasso e De Chirico, a Montmartre, nonchè una sfilza di artisti bohemienne che elencare sarebbe impossibile: quel timbro, in particolare, appartiene a un negozio che, più di cento anni fa, riforniva pittori più o meno celebri. Guzzini non si lascia scappare il quadro: sborsa qualche migliaio di euro («non poco dato che era impossibile un’attribuzione», dice) e torna in Italia.
La sorpresa arriva dopo, e la certificazione solo adesso: è un Modigliani originale e sicuramente vale molto di più di quanto è stato pagato.

Amedeo Modigliani non ha bisogno di grosse presentazioni, anche i non appassionati lo conoscono: Modì, Dedo, livornese, una tra le figure più importanti della pittura del Novecento, “quello dei colli lunghi”. Tuttavia non è facile, e men che meno sbrigativo, per Guzzini, capire che la mano che ha realizzato l’opera è proprio la sua. Ci vogliono quasi due decenni, il primo ad avere l’intuizione è Alberto Mazzacchera, ex consigliere del ministero della Cultura, che gli mette la pulce nell’orecchio: “Parliamo con l’Archivio Modigliani”, dice all’imprenditore. Il secondo sospetto gli viene quando Christian Parisot, ossia il direttore del Modigliani institut archives legales, vede il quadro: la sua espressione cambia all’istante e propone degli esami radiologici sui colori che non fanno che aumentare lo stupore.

Sotto il dipinto, infatti, ci sono i resti di un altro dipinto incompiuto. Due in uno, jackpot. L’analisi chimica, poi, arriva alla verità: quella tela è degli inizi del secolo scorso, è un “bianco economico” che usavano gli artisti con pochi mezzi a disposizioni e sì, del tipo che impiegava anche Modigliani. Il cerchio si chiude definitivamente leggendo la biografia dell’artista toscano: Modì, nella prima fase della sua carriera, si è traferito a Parigi nel 1906, ha realizzato ritratti di alcuni suoi conoscenti tra i quali anche, tombola, Mario Cavalieri (altro pittore quotato dell’epoca e, innanzi tutto, l’uomo raffigurato nel dipinto che Guzzini ha comprato. Modigliani l’avrebbe immortalato a mo’ di omaggio per sdebitarsi di un soggiorno a Venezia nel quale era stato suo ospite). Ora Guzzini, di vendere quel prezioso Modì “ritrovato”, non ha voglia: «È mio, non della holding di famiglia», spiega, «lo terrò in vista della fondazione che vorrei realizzare a Recanati, vorrei che restasse qui». Si tratta di una delle prime opere parigine di Modigliani, quando era ancora un talento emergente e la sua riscoperta è, senza ombra di dubbio, di enorme importanza. Ma è anche una vicenda a sé (e tra l’altro non unica nel suo genere): il destino, la combinazione, la coincidenza. Da una parte una buona dose di intuito, dall’altra un’altrettanto cospicua dose di buona sorte, nel mezzo quella speranza che, a leggerla, siamo onesti, sale a tutti: metti che... Un po’ come è successo al bimbo di Pompei che, dopo una lezione nell’ora di arte a scuola in cui si parlava di Pablo Picasso, torna a casa e nota una somiglianza incredibile con un dipinto che suo padre, negli anni Sessanta, all’epoca in cui faceva il rigattiere, aveva trovato in una villa in rovina. È stato sempre lì, quel Picasso originale che altro non è che uno dei tanti ritratti della poetessa Dora Maar, questa volta con tanto di firma visibile in un angolo della tela, nel salotto di casa: ma per più di quarant’anni (siamo nei primi Duemila) nessuno ci aveva fatto caso.

Ora (cioè a settembre dell’anno scorso) è valutato la bellezza di sei milioni di euro. Oppure come è accaduto all’avvocato piacentino (anche lui grande appassionato di pittura come Guzzini) che a maggio del 2023 imbatte nel dipinto di una bambina e per poche migliaia di euro decide di acquistarlo: salvo scoprire, dopo, che probabilmente (in tal senso si sono espressi alcuni critici) si tratta di una rara opera di Claude Monet del 1910 e che il suo valore si aggirerebbe nell’ordine di diversi milioni di euro. O ancora come la nonnina di Compiegne, nel Parigino, che sei anni fa scopre (lei sì, solamente) per caso che il Cristo deriso che teneva tra il soggiorno e la cucina della sua abitazione è in realtà un autentico Cimabue risalente a una pala addirittura del 1280 (e del valore di sei milioni di euro).