Pregiudizi

Casalinga un insulto? Solo per i maschi stupidi

Annalisa Terranova

Secondo alcuni linguisti parlare in modo ruvido è utile all’identificazione maschile e usare stereotipi antifemministi è funzionale al “patriarcato”. Ora, sappiamo che il linguaggio è un prodotto di una cultura e di una mentalità, che si evolve lentamente, che riflette giudizi e pregiudizi. È insomma un prodotto storico e quando un termine diventa “maledetto”, inesprimibile o discriminato come insulto è bene chiedersi perché. Ha fatto discutere, in tal senso, l’espressione usata nel consiglio comunale di Torino dal radicale Silvio Viale (il ginecologo non nuovo a polemiche su aborto e pillola Ru486) nei confronti di alcune consigliere: «Tornate a fare le casalinghe, avete sbagliato lavoro». Senza dubbio Viale con quell’espressione voleva denigrare il lavoro politico delle colleghe. E non è certo il solo. Anche a me è capitato, per un ritardo sul lavoro (capita a chi fa un doppio lavoro, quello pagato e quello in casa appunto) di sentirmi apostrofare: «Hai fatto tardi perché stavi scodellando le patate?».

E qua, se vogliamo, la discriminazione è raddoppiata perché non solo si allude al lavoro casalingo ma anche alla cucina, allo stare ai fornelli e al cucinare un cibo povero come le patate. Oggi mi capita di leggere sui social commenti non proprio benevoli verso donne di destra – me compresa – del tipo «ma torna a fare le pulizie» oppure «torna a girare il sugo». Magari vergati da donne risentite. Vale la pena allora fare una riflessione su come il lavoro domestico, il fare la casalinga, sia diventato prima degradante e mortificante per le donne nella mentalità femminista e poi sia diventato addirittura un insulto. Se penso alla saggezza di mia madre nel tenere la casa in ordine, se penso a quanto mi manca il non poterle telefonare per domandare consigli apparentemente superflui (quanto tempo si conserva questo cibo, come si leva quella macchia) e se penso a quanto fosse comunque informata, aperta e intellettualmente attiva nonostante girasse il sugo tutti i giorni mi ribello all’idea che “casalinga” possa diventare un epiteto sessista.

Se andiamo indietro nel tempo, sappiamo che alla base di questa svalutazione del lavoro domestico femminile c’è l’ansia di emancipazione predicata da Marx e Engels – se una donna non fa parte della classe operaia è inutile, improduttiva, non pervenuta – così come sappiamo anche che qualche decennio fa si discuteva invece se fare la casalinga non fosse per caso un privilegio, il potersi permettere di non lavorare cioè, di avere cura della propria casa e del proprio tempo. Poi, ogni tanto, rispetto alla melassa politicamente corretta, inaspettatamente può capitare di imbattersi nell’elogio della bistrattata casalinga, nella trasformazione del punto di vista: chi si prende cura dello spazio attorno a sé non è una schiava ma una persona che detiene un “potere”.

Tempo fa sul Foglio veniva riportata l’intervista a Le Figaro della scrittrice francese Claude Habib sul suo ultimo libro “Il privato non è politico”. Eccone un passaggio illuminante: «Ci sono varie fasi nella vita di una donna. Prima c’è l’età della civetteria: il tempo dei vestiti e del trucco. In seguito la casa diventa il centro dell’espressione narcisistica. Balzac lo spiega meglio di me nel suo romanzo Il giglio della valle.

L’essere di Madame de Mortsauf è ovunque, nelle decorazioni, nei tessuti, nei bouquet. La casa è una sua emanazione. Balzac mostra la proiezione di una donna nel suo spazio - non tutte le donne, naturalmente, non a qualsiasi età e non le più povere. Ma quando una donna ha il potere di farlo, prova piacere nell’imprimere il suo stile, nel creare intorno a sé una piccola bellezza, che può anche essere una bellezza disordinata. La casa è un’espressione personale. Le femministe non vogliono concepire questo bisogno o riconoscere questo piacere. Il primo effetto del femminismo è quello di importare il conflitto in casa, di fomentarlo. Come la felicità in amore, la dolcezza del focolare domestico è un tema ultra-sospetto, perché la felicità smobilita. Formare un arco intorno a sé, creare un luogo di vita, di fiducia, di intimità è l’opposto di un movimento di ribellion». Sono le risposte controcorrente quelle che a volte demoliscono un pregiudizio.