La verità sul caso Brescia

Brescia, ambientaliste all'attacco: "Fatte spogliare e piegare". Ma la procedura è regolare

Massimo Sanvito

Il disegno è chiaro. Mischiare il sensazionalismo alle provocazioni per colpire il nemico dichiarato, le forze dell’ordine, e alzare i toni della narrazione anti-divise che dopo la morte di Ramy si stanno avvicinando ai massimi storici. Il caso Brescia, prontamente cavalcato dalla sinistra tutta, in realtà non esiste. È solo l’ennesimo modo per infangare gli agenti e di riflesso attaccare il centrodestra.

E lo si evince da quanto detto a Libero dall’avvocato Gilberto Pagani, uomo di punta del Legal Team Italia (associazione in prima linea per la difesa dei diritti delle vittime della “repressione”) e legale delle gretine di Extinction Rebellion che lunedì, dopo aver vergato di slogan pro Palestina i muri dell’azienda Leonardo e formato una catena umana per bloccare ingressi e uscite dei mezzi, hanno gridato via social la loro indignazione perché la polizia aveva osato chiedergli di spogliarsi e fare tre piegamenti durante la perquisizione in Questura. «C’è un collegamento tra il trattamento riservato alle attiviste e il governo. C’è una volontà politica nell’emettere questi fogli di via. Ciò che è successo a Brescia non è stata un’iniziativa spontanea della Questura», ha spiegato Pagani.

 

 

Le ragazze – 23 in totale gli identificati e 7 quelle perquisite da testa a piedi – sono indagate per imbrattamento e radunata sediziosa ma sono già al lavoro per ribaltare la frittata. La denuncia contro i poliziotti arriverà a giorni. «Stiamo raccogliendo le varie testimonianze, poi agiremo. Già l’identificazione in Questura non va bene, poi le hanno trattenute per 7 ore...», aggiunge l’avvocato. Le ipotesi su cui la difesa sta ragionando sono quelle di abuso e perquisizione arbitraria.

Bisogna però fare ordine e sottolineare, prima di tutto, che le procedure messe in atto dalla Questura di Brescia sono state quelle standard previste quando qualcuno, come in questo caso, mina l’ordine e la pubblica sicurezza (il traffico era bloccato e le attività dell’azienda si erano interrotte). Ovvero: elezione di domicilio, verbali di perquisizioni personali, verbali di sequestro materiale, nomina di un difensore, notifica dei provvedimenti amministrativi. La tanto contestata richiesta di togliere i vestiti, più gli squat, non è stata certo frutto dell’immaginazione dei poliziotti, come le ribelli green vogliono far credere, ma è stata necessaria «al fine di rinvenire eventuali oggetti pericolosi«, come ha spiegato invece la Questura.

Fonti interne spiegano infatti a Libero che durante i controlli non è affatto infrequente trovare lamette (utilizzate poi dai fermati per tagliarsi) e persino preservativi pieni di droga nascosti nelle parti intime. Va da sé che fare piegamenti nudi toglie ogni possibilità di farla franca. Perquisizioni di questo tipo rientrano nel perimetro degli ordini di servizio interni alla Polizia validi in tutte le città d’Italia. Piccola postilla: erano donne le poliziotte che hanno preso in consegna le ambientaliste. Va detto, anche se ovvio, visti i soliti ritornelli di patriarcato e maschilismo circolati all’inizio...

Tornando alla questione della “trasferta” in Questura, nonostante l’identificazione sul posto attraverso i documenti, le ragioni sono cristalline: in simili circostanze, se anche non c’è violenza fisica ma si tratta in ogni caso di manifestazioni politiche non autorizzate, la carta d’identità non basta. Si procede anche a fotosegnalamento e impronte digitali. Quanto invece alle sette ore di trattenimento, come filtra da Brescia, a pesare è stato l’atteggiamento poco collaborativo da parte delle manifestanti.

Ma c’è di più, per stroncare completamente i piagnistei delle ragazze di Extinction Rebellion. Una di loro, infatti, ha spiegato che «questa non è una procedura a cui normalmente vengono sottoposti quando arrivano in Questura». Falso. Non più tardi del 9 luglio scorso, infatti, una 33enne dello stesso movimento aveva denunciato di essere stata costretta a spogliarsi e piegarsi all’interno di un bagno della Questura di Bologna dopo il blitz contro il summit del G7 Scienza e tecnologia. Sapete com’è finita? Il pm (una donna) ha archiviato la posizione della poliziotta che quel giorno controllò l’attivista, perché non era affatto andata oltre «i limiti delle proprie attribuzioni» e non aveva avuto alcun «comportamento lesivo della dignità della persona perquisita».