Non c'è pace per Geppetto
Firenze, gli eredi di Pinocchio fanno causa alla sinistra: in ballo 250mila euro
Per tutti è Carlo Collodi, il babbo di Pinocchio: inteso non come mastro Geppetto ma come lo scrittore che nel secolo scorso (era 1881) ha dato vita al burattino più famoso della storia della letteratura. Per il Comune di Firenze, però, è Carlo Lorenzini: nato sull’Arno nel 1826 e morto nella stessa città toscana nel 1890, sepolto al cimitero monumentale delle Porte Sante a San Miniato al Monte, sulla collina giusto sopra piazzale Michelangelo, oramai 135 anni fa e, oggi, al centro di una diatriba tra le autorità cittadine e i suoi legittimi eredi.
Tutto ruota attorno a quel camposanto dove, peraltro, riposano in pace anche altri personaggi del mondo delle arti (come il regista Franco Zeffirelli o il romanziere Vasco Pratolini), oppure della politica (come l’ex segretario del partito repubblicano Giovanni Sapadolini) o ancora dello spettacolo (come il cantautore e cabarettista Odoardo Spadaro). E tutto ruota attorno, nello specifico, alla cappella di famiglia dei Lorenzini: una costruzione gentilizia, con le inferriate e tappezzata dalle stampe di Pinocchio, che sorge lungo il “Muraglione”, ossia il bastione est del cimitero.
Sarebbe stata danneggiata, dicono i Lorenzini: le bare contenute sarebbero state forate (l’edizione locale di Repubblica riporta esattamente il termine «profanate»), alcuni manufatti sarebbero stati scoperchiati e la causa di tutto questo sarebbero alcuni cantieri sorti per consolidare quell’area delle Porte Sante tramite «scavi e rinforzo della struttura muraria con tondini in ferro conficcati nel terreno e anche all’interno delle singole cappelle, nonché nella cripta». Gianluca e Paola Lorenzini, quando si sono accorti di cosa stesse succedendo, sono andati dall’avvocato Andrea Esposito e hanno deciso di ricorrere contro il Comune di piazza della Signoria.
Chiedono, in sostanza, che la cappella della loro famiglia venga riportata alle condizioni di prima e lamentano un risarcimento per «danno morale e da patimento» del valore di 250mila euro perché hanno visto «disturbata la pace dei propri cari estinti nelle ipotesi di reato quali il vilipendio di tombe, il danneggiamento al patrimonio storico e artistico e anche il deturpamento di cose altrui». C’è di più, tuttavia: nel 2022, purtroppo, è venuta a mancare la loro madre e, proprio in virtù dello stato in cui verteva la cappella di famiglia, non hanno potuto tumularla lì, per cui domandano anche il rimborso delle spese effettuate in quell’occasione che si aggira sui 10mila euro (9.700, per essere precisi). In realtà i pronipoti di Collodi-Lorenzini sollevano questa stessa problematica almeno dal maggio dell’anno scorso, quando hanno ricordato che in quella stessa cappella famigliare è sepolto anche Paolo Lorenzini (altro scrittore noto della stirpe, autore del meno fortunato ma pur sempre celebre classico per bambini Sussi e Biribissi).
«Uno scempio macabro ed enorme», l’aveva definito, già allora, Gianluca Lorenzini, «al piano terra le pareti di marmo si stanno staccando dai muri retrostanti e in cripta la parete è abbattuta, le lapidi sepolcrali di marmi ottocenteschi scoperchiate fino a perfonare i forni contenenti quattro bare, oltre alle cassette di zinco contenenti i resti mortali di molti miei antenati». Non un caso sfortunato, però. È neanche un banale incidente. «Non sembra che il Comune di Firenze abbia diligentemente controllato i lavori», sostengono adesso i Lorenzini, «e neppure sembra abbia garantito la giusta e necessaria tutela a un sito importante a livello internazionale e nazionale». Cioè a «un luogo in cui riposano i grandi del nostro passato che non si meritano il trattamento riservato loro».
La palla, quindi, passa alla magistratura fiorentina perché il caso, ora, approda in tribunale (il giudice che lo sta trattando ha fissato udienza per il prossimo 30 gennaio, un giovedì) dopo un mezzo pasticcio dovuto a un fraintendimento («Il Comune», spiega il legale di famiglia Esposito, «si era già costituito chiedendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società edile che aveva svolto i lavori», ma seppur autorizzato dalla corte, ha indicato nella documentazione la ditta sbagliata e, di conseguenza è stato costretto a «rinunciare alla sua chiamata in causa»). Palazzo Vecchio si sta difendono sostenendo che le prove allegate (tanto per cominciare quelle fotografiche prodotte dai Lorenzini) «sarebbero prive di data certe, decontestualizzate e indeterminate sulla loro stessa provenienza». La parola fine sull’ultima pagina del libro (pardon, del faldone) si avrà solamente a conclusione del procedimento.