Cortocircuito delle compagne

Non una di meno, le femministe disertano la protesta anti Ayatollah

Claudia Osmetti

Fuori dal Centro congressi Cavour di Roma ci sono loro, gli attivisti iraniani. Donne, uomini, ragazzi nati a Teheran ma anche a Masshad, a Isfahan, che denunciano il regime teocratico degli ayatollah. Dentro, invece, va in scena la presentazione di un libro: solo che non è un libro qualunque. Cella n. 14 - I semi della rivoluzione (in Italia edito La Vela), l’autore è Ali Khamenei. L’attuale guida suprema dell’Iran, quello che anche ieri ha ribadito che «dietro la caduta di Assad ci sono Usa e Israele», quello che ha sedato (e sta sedando) le rivolte persiane.

A organizzare l’incontro è il centro culturale islamico Imam Mahdi, di matrice sciita, lo stesso che manco due mesi fa ha promosso un altro presidio contestassimo, una preghiera pubblica per Hassan Nasrallah, il macellaio di Hezbollah ucciso da un raid israeliano a Beirut. Il volume di cui stiamo parlando è l’autobiografia (ma sarebbe più proprio definirla un’agiografia) di Khamenei.

 

 

 

È per questo chela resistenza iraniana non ci sta: si tratta di «un evento sconcertante sulla vivente incarnazione della tirannia in Iran», spiega, in una lettera aperta, l’associazione Donna Vita Libertà la quale da tempo (e cioè dal barbaro omicidio di Masha Amini) lotta per i diritti delle donne e del popolo iraniano. Anche se questi coraggiosi giovani con il tricolore orizzontale sul volto (la bandiera iraniana ha gli stessi colori della nostra) sono sempre più soli. Non c’è mezzo corteo femminista. “Non una di meno” ma qui proprio nessuna, zero collettivi, neanche lo straccio di un manifesto. Qualche sigla liberale, sì, esprime solidarietà, c’è anche una delegazione di Italia Viva, epperò le donne-a-difesa-delle-donne non si fanno sentire.

«I movimenti femministi si sono presto allontanati dalla nostra piazza», racconta, per esempio, Rayhane, una bellissima iraniana che ha la forza di una leonessa e segue la questione anche se non è fisicamente a Roma, «in un certo senso va bene così. Noi l’abbiamo messo in chiaro fin da subito che non volevamo essere politicizzati, non siamo un movimento di destra o di sinistra e non ci battiamo solo per le donne, ma anche per gli uomini iraniani». Dopo il 7 ottobre, poi, sono stati limpidi: «La maggior parte degli iraniani non è contro Israele, noi non siamo propal, non abbiamo timore a dire che i crimini che hanno subito le donne ebree nel pogrom di Hamas siano stati indicibili».

 

 

 

Il concetto è semplice: se la piazza femminista occidentale intende protestare solo verso il patriarcato e dimostra di avere le fette di salame sugli occhi quando si tratta di Medioriente, a loro, ai resistenti iraniani, non interessa. Chapeau. «È ingiusto legittimare un sistema di potere che si esprime nella più tossica forma di maschilismo patriarcale dal 1979», specifica la lettera di Donna Vita Libertà. «Proprio nei giorni in cui migliaia di siriani festeggiano la caduta del sanguinario regime di Assad, pienamente sostenuto per anni dall’Iran, arriva questa presentazione», aggiunge, invece, il senatore di Fratelli d’Italia Giulio Terzi: «Khamenei è il primo responsabile di una teocrazia medievale che ha dato vita a una macabra campagna di repressione».