Arte rivoluzionaria
Il Futurismo è vivo oltre critiche e ideologia: un'avanguardia da riscoprire
Il Futurismo è presente. Polemica, vitalità, ardimento, gioia. E la sua straordinaria contemporaneità non accenna a placarsi, se è vero che a distanza di ben oltre un secolo siamo ancora a discutere e dividerci, tirando per la giacchetta il fondatore Marinetti - a ottant’anni dalla morte - e i principali esponenti, tra cui Balla e Boccioni, chiedendo implicitamente da che parte stavano veramente. Né di qua né di là è la risposta esatta, semplicemente Futuristi. E poi ci sono le opere, tante, importanti, rivoluzionarie, a segnare il primo stravolgimento tecnologico all’inizio del XX secolo, un impatto formidabile persino più forte di ciò che noi stiamo vivendo dopo il 2000 che Marinetti già lo intuiva che presto o tardi avremmo parlato con telefoni senza fili. Ecco che alla Galleria Nazionale di Roma si è finalmente aperta Il tempo del Futurismo e diciamolo pure questa mostra può davvero competere con le due rassegne epocali che segnarono gli studi sul movimento: Ricostruzione futurista dell’universo alla Mole Antonelliana di Torino curata da Enrico Crispolti nel 1980 e Futurismo e Futurismi a Palazzo Grassi, Venezia, nel 1986 per la cura di Pontus Hulten.
ATTACCHI PREVENTIVI
Dal punto di vista della quantità di opere e del percorso espositivo Il tempo del Futurismo offre uno sguardo che risponde alle curiosità del nuovo secolo, è inclusiva, divertente, non soltanto per addetti ai lavori, così l’ha raccontata il curatore Gabriele Simongini non senza essersi tolto qualche sassolino dalle scarpe, perché mai avevamo assistito a un attacco preventivo così aspro, fomentato dall’ideologia. Le mostre, prima di criticarle, si devono vedere e invece per mesi in tanti hanno detto la loro attaccandosi a voci di corridoio, polemiche costruite ad arte, con un atteggiamento sprezzante che avrebbe fatto perdere la pazienza a chiunque.
E invece per le sale della Galleria Nazionale ci si è accorti che in parecchi sono stati costretti a cambiare opinione, perché la mostra è bella, ricca, generosa, curiosa e dunque hanno dovuto ammettere, qualcuno masticando amaro, che sì Il tempo del Futurismo è una scommessa vinta. E siccome è giusto ricordare e dare a Cesare quel che è di Cesare, seppur in contumacia il primo ad averla azzeccata è stato Gennaro Sangiuliano, che questa mostra l’ha voluta, ci ha creduto, difendendola da preconcetti e raffiche di fuoco amico. Il suo ruolo è stato ricordato ieri in conferenza stampa ed è giusto ribadirlo a chi ha perso per strada la memoria.
Altro passaggio culturale molto interessante, la scelta della sede, ovvero il primo museo nazionale di arte moderna e contemporanea d’Italia, laddove il Futurismo subì l’ostracismo della critica del dopoguerra, quando la direttrice era Palma Bucarelli e il gran burattinaio Giulio Carlo Argan: allora il Futurismo quasi non si poteva nominare per le sue presunte “connivenze” con il Fascismo, con il risultato di mettere a tacere la prima e più importante avanguardia del Novecento per ragioni meramente ideologiche che neppure i grandi della critica riuscirono e vollero superare.
MANIPOLAZIONI
Invece, il Futurismo è vita. Fossimo un altro Paese avremmo costruito monumenti, intitolato scuole, università, musei a questi uomini (e donne, non ce ne furono poi così poche) che cambiarono la storia e non solo quella dell’arte. Al nostro posto i francesi li avrebbero glorificati, qui da noi ci si divide ancora, c’è sempre qualcuno che li addita come guerrafondai e fascistoidi, sbagliando date, manipolando la storia pur di scrivere amenità e inesattezze al posto di riconoscerne il pieno valore. Questa mostra, finalmente, mette a posto le cose e il plauso arriva senza riserve.
Fino al prossimo 28 febbraio la visita è d’obbligo, pensando non solo al pubblico delle scuole ma anche ai visitatori stranieri. Il percorso anticipa il Futurismo già nel Divisionismo di Pelizza da Volpedo e lo chiude a ridosso dell’Arte Povera passando per Astrazione e Pop. Debiti con Marinetti e c. ne abbiamo tanti, ma sono debiti esaltanti. Quel manipolo di avanguardisti rappresentano il meglio della pittura mondiale novecentesca, chi dice il contrario o ignora o straparla in malafede.