Compagni napoletani dei clan

Caivano, ecco le foto delle case extra-lusso dei camorristi rossi che protestano in piazza

Simone Di Meo

¡Hasta la camorra siempre! Guardate le foto che pubblichiamo in queste pagine: sono gli interni degli alloggi popolari sgomberati tre giorni fa nel Parco Verde di Caivano. Le 36 famiglie, che le avevano occupate anni fa, son state buttate fuori dalla Procura di Napoli Nord perché appartenenti alla malavita locale o perché prive dei requisiti reddituali (incassavano così tanti sussidi statali da aver superato la soglia Isee). Ora si lamentano e scoprono la resistenza comunista. Hanno affisso uno striscione: «Caivano capro espiatorio di un governo senza idee». Accanto c’è la bandiera dell’Urss. Falce e martello, abuso modello.

Arredamenti da severa architettura sovietica, non c’è che dire: bagni in marmo; rubinetteria dorata; vasche idromassaggio (notoriamente raccomandate dopo aver trascorso la giornata a studiare Das Kapital del compagno Carlo Marx); divani e camere da letto damascate; pareti attrezzate con tv di ultima generazione; cucine all’avanguardia; statue; mobili ed elettrodomestici nuovi di zecca. Affiliati di tutto il mondo, unitevi. Siamo solo all’inizio: mancano all'appello ancora 204 appartamenti che dovranno essere liberati nei prossimi mesi.

 

 

 

Per lo più gente che appartiene ai Sautto-Ciccarelli e che ha fatto soldi (tanti) con gli stupefacenti. «Un passo determinante per restituire dignità ai cittadini perbene e oneste di Caivano» ha detto il premier, Giorgia Meloni. Il prete coraggio del Parco Verde, don Maurizio Patriciello: «I nodi vengono sempre al pettine. Purtroppo, questo quartiere è nato col peccato originale e la pigrizia dei nostri amministratori ha fatto sì che andasse sempre di male in peggio».

Forse si riferisce pure a quell’ex assessore comunale della vecchia giunta giallorossa (Pd, M5s e Italia viva) che, dopo l’arresto, ha deciso di vuotare il sacco. Si chiama Carmine Peluso e aveva la delega ai Lavori pubblici e alla manutenzione. Ai magistrati antimafia si è presentato così: «Nei rapporti con gli imprenditori io ero il “garante” per conto del clan». Ha spiegato che la politica e la camorra andavano a braccetto. «Era stato instaurato un sistema che operava come due strade parallele, nel senso che (...) le ditte che versavano le mazzette (ai politici, ndr) pagavano anche le estorsioni (...) sembravano due strade parallele ma che alla fine si incrociavano». Il tariffario partiva dai 1.000 euro per opere di piccolo cabotaggio fino ai 50.000 per quelle del Pnrr. «Le fasce deboli, che potranno accedere alla regolarizzazione della posizione, saranno tutelate» ha garantito il prefetto di Napoli, Michele Di Bari, in attesa che il commissariato straordinario per il Comune di Caivano riqualifichi 750 abitazioni popolari. Frattempo, sono stati già ristrutturati l’ex centro sportivo Delphinia e il parco Livatino.

 

 

 

Per Roberto Saviano lo sforzo dell’esecutivo per la città è un fallimento, tutta scena. Disonestà intellettuale. Forse farebbe meglio a leggere i verbali del pentito Mariano Vasapollo. Sono una botola sull’inferno. In un solo palazzo del Parco Verde, svela, lavoravano in contemporanea fino a tre piazze di spaccio: cocaina, marijuana e kobrett. Bussavi al citofono e invece di aprirti il portone ti allungavano una dose.

«Per vendere la droga nel Parco Verde devi per forza rifornirti dal clan perché senza l’ok della famiglia non si può fare nulla», ha aggiunto il trafficante. Spiegando che un pusher di medio livello riesce a guadagnare «fino a 15 mila euro al mese» mentre un capopiazza tocca i «150-200 mila euro al mese». Oggi, questo mercato è stato quasi del tutto sradicato. E la cacciata degli inquilini dei clan fa parte della strategia. Altrimenti non si spiegherebbero le minacce alla mamma di una delle due cuginette che, l’anno scorso, furono stuprate proprio nel Parco Verde da un branco di minorenni. «La donna è ingiustamente considerata la causa degli sgomberi», ha denunciato il suo avvocato, Angelo Pisani. «La signora si trova oggi a vivere una segregazione forzata senza poter neppure uscire di casa a causa delle continue minacce alla sua incolumità».

 

 

 

E questa gente oggi rispolvera Lenin per «chiedere dignità». La stessa che avrebbero potuto invocare quando nel rione i killer si ammazzavano a vicenda e poi andavano a farsi la doccia – si legge in un verbale di un collaboratore- «con una intera confezione di Coca Cola» per cancellare le tracce di polvere da sparo. Oppure quando i camorristi del rione andavano in giro d'estate con le magliette scollate per esibire il tatuaggio: «Meglio morire che tradire la famiglia Sautto».

O ancora quando il boss Antonio Ciccarelli scriveva dal carcere al pentito Vasapollo promettendogli uno stipendio di 10mila euro al mese per ritrattare le accuse. Invece, no: i «cattivi» sono a Roma. Meglio alzare il pugno e minacciare (come accaduto con la marcia di ieri sera) di occupare la chiesa di don Patriciello o il Comune: una legione di uomini e donne vestiti a lutto che avanza nella notte guardati a vista dalle forze dell'ordine. Bisognerà correggere pure il grande Ronald Reagan: «Dicono che ci sono solo due posti dove il comunismo funzioni: in cielo, dove non ne hanno bisogno, e all’inferno dove già ce l’hanno». Ci aggiungiamo pure Caivano?