da ripensare
La crisi senza fine dei forum internazionali
Gli organismi e i forum internazionali sono in crisi, mostrano crepe da ogni parte: da un lato, non riescono a risolvere i conflitti o a mediare fra gli Stati che ne fanno parte; dall’altra, non riescono a raggiungere gli obiettivi che si erano dati alla loro nascita e spesso anzi sono di ostacolo ad essi. Lungi dall’affermare i valori di libertà, giustizia, pace, essi spesso promuovono le idee e favoriscono l’operato delle tante autocrazie di cui è ormai pieno il mondo.La convinzione diffusa fra i leader e le classi dirigenti dell’Occidente è che la crisi di questi organismi sia contingente, legata a problemi geopolitici sopravvenuti momentaneamente e che saranno superati con una maggiore dose di cooperazione e azione comuni. È un atteggiamento in cui si mescolano scarsa riflessione, illusione o anche semplicemente l’interesse a mantenere in vita burocrazie tanto inefficaci quanto costose. Molto più appropriato a me sembra invece porre la questione ad un livello più profondo, storico e filosofico insieme.
UN SALTO NEL PASSATO
È opportuno perciò fare un salto indietro di 70 anni circa, al momento in cui il sistema di cooperazione internazionale attualmente in essere fu messo in piedi. Erano gli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale: dalle macerie del conflitto due grandi potenze erano uscite vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica. Esse rappresentavano due modelli culturali, economici e politici antitetici e si ponevano nell’immediato il compito di contenersi reciprocamente. La “guerra fredda” che si preannunciava si sarebbe giocata anche e soprattutto sulla capacità di imporre il proprio modello alle popolazioni del mondo intero. L’America, allora governata dai democratici (al presidente Roosevelt era succeduto Truman), decise di combattere la sua battaglia rispolverando e aggiornando le idee di un altro presidente, Thomas Wrodrow Wilson, il quale aveva creato, subito dopo la prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni, una sorta di ONU ante litteram che non avrebbe retto alle prove della storia: non impedì, infatti, né l’avvento dei totalitarismi né lo scoppio di un altro conflitto mondiale. Non si tenne conto di questa lezione, delle ragioni del fallimento.
Il modello wilsoniano ruotava attorno a un caposaldo teorico molto forte: il modello liberal-democratico fondato sui “diritti umani”, in quanto superiore ad ogni altro e di valore universale, si sarebbe affermato in modo naturale per imitazione o contagio sol che fosse stato agevolato da un rapporto più stretto fra i popoli e le nazioni. Una sorta di provvidenzialismo che affondava a sua volta le radici nel giusnaturalismo sei-settecentesco e che, in nome di un astratto umanitarismo, non faceva i conti né con le specificità di molte culture non occidentali né con le pulsioni negative che albergano nell’animo umano. Questa ideologia americana fu accettata ipocritamente dai regimi comunisti, che la declinarono secondo i loro interessi pur di avere un piede dentro alle nuove istituzioni sovranazionali. Essa fu solo a tratti temperata dal realismo politico, di cui gli Stati Uniti dovettero pur servirsi in alcuni momenti critici della loro storia (dalla guerra di Corea all’invasione della Baia dei Porci a Cuba).
L’ideologia wilsoniana ha agito sotto traccia per almeno un trentennio, fino a riprendere forza e vigore con la caduta del comunismo. A quel punto, poco più di trent’anni fa, i fatti sembrarono dare ad essa definitivamente ragione. Fu così che, sulla scia della vecchia, una nuova ideologia, che potremmo chiamare globalismo, si fece strada affermando che la democrazia occidentale avesse ormai posto “fine alla storia” e che il mondo intero si sarebbe inchinato senza problemi ad essa. Non occorreva perciò vigilare più di tanto, né coltivare e curare come un fiore raro quel nucleo di valori che ne costituiscono il fondo.
APERTURA ALLA CINA
L’apertura incondizionata alla Cina, o da un altro punto di vista la scarsa attenzione prestata all’islamizzazione sempre più massiccia di ampie zone delle nostre città, si inseriscono in questo quadro. Il tutto mentre nella mentalità comune delle classi dirigenti crollavano, sotto la spinta di ideologie anti-occidentali, molti dei capisaldi morali che avevano tenuto in piedi la stessa democrazia. Gli organismi internazionali, allargatisi in numero e per adesioni, venivano conquistati, nell’indifferenza dei più, da una maggioranza antidemocratica di Stati che dei nostri “sacri valori”, a cominciare dai “diritti umani”, avevano a dir poco un’altra concezione. Nati e fortificatisi in contesti storici diversi, sorretti da un’ideologia discutibile, animati spesso dall’illusione tardo-illuministica nel progresso inarrestabile e inevitabile del genere umano, gli organismi internazionali vanno oggi radicalmente ripensati e ricreati su altre basi. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è.