Flop
Unioni civili, un fallimento: neanche ai gay interessano più
La prima unione civile tra due donne mai celebrata a Sezze, in provincia di Latina, è di appena tre giorni fa. A Catanzaro, in Calabria, il doppio abito bianco ha detto sì in municipio, e per la prima volta, solo quest’estate, a luglio. A Gragnano, nell’area metropolitana di Napoli, due uomini sono stati “sposati” dall’ufficiale civile, anche loro per la prima volta nella storia dell’anagrafe del Comune, giusto il mese prima, a giugno. Ché sì, la bella stagione coincide con quella del “per sempre”(o quantomeno dell’articolo -riformatonumero 455-bis del codice civile), però no, mica è detto che ci sia la corsa all’anello.
Sezze è una cittadina di quasi 24mila abitanti, Catanzaro (84mila residenti) è pure capoluogo di provincia e Gragnano di residenti ne conta su per giù altri 28mila: non stiamo parlando di piccole amministrazioni con più dipendenti comunali che domiciliati; è l’Italia reale, medio-grande, aperta, giovane, bigotta forse un tempo ma adesso giammai, moderna. Ed è anche l’Italia che, quando diventa metropoli, va pure peggio.
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IL CASO MILANO
Prendi Milano. L’internazionale Milano. La Milano del Pride e del sindaco coi calzini arcobaleno, la Milano dove a nessuno (giustamente) importa con chi va a letto il vicino di casa. Dal Covid in avanti le unioni civili, a Milano, sono state un disastro. Gli uffici di Palazzo Marino ne hanno registrate poco più di cento (109) in quell’anno buio che è stato il 2020, 154 nel 2021 e 166 nel 2022. Un computo che s’è leggermente risollevato l’anno passato, ma ha riguardato giusto 240 coppie dello stesso sesso (e, tra parentesi, l’andazzo sembra identico anche per questo scampolo di 2024: nei primi sei mesi, da gennaio a giugno, le registrazioni si sono fermate a quota 98).
Non è colpa di nessuno (e che “colpa” ci potrebbe essere? Ognuno, le relazioni, le gestisce e se le regola come preferisce: tant’è che anche sul fronte dei dati matrimoniali “classici”, quelli in chiesa, vuoi-tu-prendere-come-tua-sposa-e-tu-come-tuo-sposo, la china è uguale: un calo praticamente costante nel secolo in corso), però, ecco, la fotografia è altrettanto nitida. Le unioni civili (intese come istituti) si sono rivelate un mezzo flop.
Lo fa intendere, con tabelle, numeri e analisi, l’Istituto Cattaneo, in un report molto preciso di sei pagine che ha pubblicato ieri: sostiene, l’istituto di dicerca Cattaneo, che in base ai dati a sua disposizione, i quali sono riferiti a un lasso di tempo di circa sei anni e mezzo (sugli otto che sono trascorsi da quando, nel 2016, l’allora governo dem di Matteo Renzi ha approvato la riforma in questione), di unioni civili se ne possono contare poco più di 18mila, poco meno di 16mila se si prende in considerazione solo il periodo dal 2017 al 2022 (per una ragione molto semplice: all’inizio, ossia nei mesi immediatamente successivi al via libera del parlamento, diciamo per un annetto buono, il “boom” c’è stato per davvero perché centinaia di coppie gay e lesbo erano in attesa di quel giorno da tempo: poi però i valori si sono arrestati), mentre il totale dei matrimoni “tradizionali” supera il milione.
Milano è un caso emblematico (al Nord e al Centro la diffusione delle unioni civili è il doppio che nel Meridione), però non è il solo e cadere nell’equivoco di confondere la grande città (progressita) col resto d’Italia sarebbe un errore grossolano e, infatti, l’aspetto più significativo è che il trend (dopo il picco iniziale una caduta abbastanza continua) è identico in tutto il Paese (anzi, in buona parte dei Paesi mediterranei, al netto delle particolarità giuridiche di cui ognuno s’è dotato).
LE COPPIE
A unirsi civilmente, smoking e smoking, sì-lo-voglio, sono (sorpresa) più gli uomini che le donne: gli omosessuali maschi, inoltre, hanno una differenza media di età nella coppia che supera i nove anni, mentre quella delle lesbiche è in linea con quella dei matrimoni tra eterosessuali (quattro, sei anni). Le coppie omosessuali tendono a essere meno omogenee in fatto di livello di istruzione dei partner (a fronte del 60,3% delle coppie coniugate che hanno lo stesso titolo di studio, questa percentuale scende al 48% per le coppie unite civilmente di sesso femminile e al 44,6% per quelle che hanno fatto altrettanto e sono di sesso maschile). Dati che si riscontrano anche sul fronte della posizione professionale: gli appartenenti alle coppie sposate si “somigliano” di più (lavorativamente parlando), seguono le lesbiche e infine i gay.
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