Polemiche

Alluvione, a un passo dalla piena per una serenata e un selfie: l'ultima moda social

Simona Bertuzzi

Lui suona la chitarra seduto su un muretto di cemento. Lei lo guarda rapita stringendosi nel giubbotto di pelle nero che il ragazzo le ha prestato per tenerle un po’ di caldo. Le note di una dolce canzone nell’aria, e loro tormentati e persi nel tramonto torinese che sa di buio e tempesta. Sarebbe amore, o solo l’attimo cristallizzato di due cuori innamorati, se il fiume Dora sullo sfondo - impetuoso, vorace e strafottente degli umani patimenti - non rendesse la scena maledettamente folle. E loro gli ultimi esemplari di un’umanità che, per raccontare l’amore e renderlo caparbiamente diverso da quegli sfigati che si fidanzano a lume di candela, ignora quello che avviene attorno. Chiamasi “selfie sul precipizio” o “a bordo tempesta”, ma i commentatori si sono sbizzarriti nel declinarlo: “selfiecidio” o “selfie killer”.

Ed è la moda, ormai radicata in tutti gli strati sociali e a qualunque età anagrafica, di avvicinarsi alla scena della catastrofe o al punto più alto del rischio per uno scatto da postare sui social. In questi giorni di alluvione e tempesta, il mondo ribolle di cretineria autoimmortalata. A Torino sono stati visti runner che facevano sgambate sul fiume impetuoso fregandosene che l’acqua lambisse le loro caviglie. A Castelnuovo Sotto, invece, nella Bassa Reggiana, i carabinieri stremati dai soccorsi e da quell’ansia benedetta di salvare vite, hanno dovuto organizzare un servizio apposito per le decine di persone che si facevano foto lungo gli argini dei fiumi e dei torrenti in piena. Sulle loro teste è piovuta persino la reprimenda di un sindacato dell’Arma che ha espresso «profondo sdegno per il comportamento irresponsabile» e ha parlato di «atteggiamento sconsiderato» perché «non solo mette a rischio la propria incolumità, ma distoglie risorse preziose e personale impegnato in operazioni di soccorso a favore di chi ha realmente bisogno di aiuto».

 

 

Incomprensibile si sa. Ma quella voglia di mettersi accanto al muro che viene giù dal cielo, pensando a quanti like faranno i calcinacci che ti lordano la giacchetta, è il mistero insondabile di questa epoca social in cui diventi te stesso mettendoti in scena per gli altri. Qualcuno, di recente, si è messo a fare la conta dei morti di selfie: 50 pare siano ogni anno le vittime accertate in Italia, oltre 300 nel mondo. Si cade da montagne, scogliere, treni, e gru sottili e vertiginose per questa fame di like. E poi si muore. Facciamoci due domande, dunque, se ne vale la pena. E in attesa di avere una risposta da Google che ribolle di 24 bilioni di selfie torniamo alla realtà. Si chiamava Simone e aveva 20 anni. Ed è crepato travolto dall’acqua del fiume mentre si trovava sulla sua auto accanto al fratello che l’aveva sempre protetto. Chi ci pensa di morire in una sera di autunno quando la giovinezza ribolle nella testa e tutto è lieve e suadente, persino il rumore della pioggia più fosca? Pensate a lui, allora, e mettete via i telefoni. Piove ancora e non promette nulla di buono.