Sì, è possibile

Favola a Caorle, la fede persa in mare e ritrovata col metal-detector

Serenella Bettin

Di come sia possibile ritrovare una fede smarrita in fondo al mare è un mistero. Fatto sta che è accaduto. E questa storia ha dell’incredibile. Lei si chiama Marta Zacchello, 41 anni. Lui è Carlo De Paoli e di anni ne ha 43. Sposati da cinque anni, entrambi veneziani, il 4 settembre scorso decidono di fare una scampagnata al mare. Siamo a Caorle, tipica meta dei vacanzieri in Veneto. Non avendo fatto ferie, quella mezza giornata era perfetta per staccare la mente, rilassarsi e ricaricare le batterie.

«Clima stupendo, mare che è una lastra, poco vento, si stava da Dio», racconta Carlo. Solo che a un certo punto entrano in acqua, scattano un po’ di foto, lui, lei e la figlia Sara, 4 anni. Si spingono un po’ più in là, sono a circa un metro e 20 di profondità, Marta scatta delle istantanee a lui e la figlia, e poi, fanno cambio. Lui prende in mano il telefono, scrolla le mani come per asciugarle, e la fede gli scivola via come un’anguilla. Come in un film al rallenty, l’anello nuziale che aveva coronato il loro sogno d’amore, sfila via dal dito, percorre il tratto di spazio che la separa dall’acqua e plof, come un sasso caduto da un promontorio proteso sul mare, viene inghiottita dalle acque.

 

 

«L’abbiamo proprio vista scivolare giù», racconta Marta. «Non sapevamo che fare, siamo rimasti di sasso, così abbiamo provato a vedere, a prendere gli occhialini, erano all’incirca le sei e mezza di sera, era il tramonto, e l’abbiamo cercata fino a che facesse buio». I due tastano il fondale, lo palpeggiano, lo passano al setaccio, stringono a pugni l’acqua, brandiscono cumuli di sabbia, ma niente, la fede non si trova. «In tutte quelle ore - racconta Carlo - pensavo che in un punto non ben definito del mare, seppure quieto, ma con poca visibilità, non avrei mai più ritrovato il mio, o meglio il nostro, anello. Non c’erano punti di riferimento, e il solo spostamento dell’acqua, lo avrebbe sotterrato ulteriormente».

Desolati tornano a casa. Ma Marta non si dà per vinta. Pubblica un annuncio su Facebook, sul gruppo “Sei di Caorle se”, ma le spiegano che «qui è pieno di sciacalli, che cercano oggetti smarriti e poi se li rivendono». Passa qualche giorno e per una strana ricongiunzione astrale, Marta viene a sapere che a Padova esiste una associazione di volontari che vanno in giro con il metal detector a trovare oggetti smarriti. L’associazione si chiama Sos Metal Detector nazionale e si può trovare facilmente su Facebook.

Marta li contatta e dopo qualche giorno si mettono alla ricerca. Arriva in aiuto Diego Garbi, 53 anni, che per lavoro produce mezzi meccanici, ma per diletto va in giro col “cercametalli” per ritrovare oggetti smarriti e far tornare il sorriso alla gente. Così partono insieme, ma per un insolito scherzo del destino, si rompe l’auto. Pare proprio che questa fede non voglia essere trovata. Ma Diego, il detectorista, non demorde. Su quel punto ci torna per quattro volte, anche alle tre del mattino, quando l’acqua è bassa e si vede meglio. Armato di muta subacquea, dopo circa un mese ritrova la fede. «Era lì, sotto la sabbia, a circa dieci centimetri - ci racconta Diego - nel punto dove l’avevano persa».

Un miracolo, dato il maltempo che in quei giorni violentemente si è abbattuto. «Continuo a dire che è una storia incredibile», dice Carlo. E non tutti sanno che in Italia esistono questi trovatori, cerca robe, cerca oggetti, che vanno in giro a cercare le cose della gente. Oggetti di valore, anelli, collane, braccialetti, medagliette, simboli, anche chincaglierie da bigiotteria ma che magari hanno un significato particolare. L’associazione Sos Metal Detector nazionale nasce nel 2018 «con lo scopo- scrivono- di offrire in maniera gratuita e da volontari la possibilità di ritrovare un oggetto metallico smarrito». I detectoristi, così si fanno chiamare, lo fanno per hobby, in spiagge, campi, giardini, orti, boschi, terreni, anche all’interno di muri, pavimenti. Se la zona è privata andrà contattato il proprietario.

Un supporto che può essere utile anche per le indagini della polizia. Succede anche nei casi di cronaca nera. Come per esempio per l’omicidio di Sharon Verzeni a Terno d’Isola, il “Museo Recuperanti” di Toscolano Maderno (Brescia) ha operato per la ricerca dell’arma del delitto. Anche la droga. Quella nascosta nei parchi incartata nei fogli di alluminio. Ma di quanti siano i “detectoristi” in Italia non si sa di preciso. Si parla di una popolazione di 10-15 mila appassionati.