Il boomerang del geolocalizzatore

Un segnalatore e un telefonino: il nuovo trucco dei ladri d'auto

Luca Puccini

Prendi Juan Jesus (che forse non tutti conoscono perché c’è anche a chi del calcio importa un fico secco: stiamo parlando del numero 5 del Napoli, classe 1991, brasiliano, difensore e con oltre 530mila followers su Instagram). Ecco, è capitato un guaio a Juan Jesus: o meglio, è stato vittima di una bella scocciatura (ché, d’accordo, non s’è mica concretizzata nel peggio, però vuoi mettere? «Solo sapere che questi delinquenti sanno dove vivo non mi porta serenità, purtroppo in una città così bella non mi sentirò mai più al sicuro», scrive lui stesso sui social).

Napoli (la “così bella città”). In questi giorni (cioè a campionato ampiamente iniziato, però il pallone c’entra zero). È la storia di un furto, pardon: di un tentativo di furto, ai danni del suo Range Rover (un suv) nero ritrovato col finestrino spaccato e l’abitacolo sotto sopra. Che sarà mai, vien da dire, a chi non è capitato? Però il punto è che a Juan Jesus è capitato anche altro: gli è successo, infatti, che «nell’arco di un mese ho trovato nella mia macchina ben cinque AirTag».

 

E allora tutto cambia. Perché sì, è vero, si tratta di un furto non riuscito; però no, non è di quelli classici, tradizionali, vecchia scuola che quando va bene resti con la portiera scassinata e quando va male rimani con manco un cerchione parcheggiato. Qui, oltre all’auto, che è un bene materiale, c’è in ballo anche la tua sicurezza. L’AirTag (che è il modello di Apple, ma esistono e vengono utilizzati dispositivi identici per Android) altro non è che un geolocalizzatore. Un bottoncino. Che costa una sciocchezza (quello originale su per giù trenta euro, gli altri addirittura meno), che è grande quanto la monetina di un euro, che non t’accorgi d’aver appresso se non l’hai installato tu, che traccia la qualunque con un sistema di rilevazione praticamente preciso al mezzo metro e che ha una batteria di lunga durata (arriva tranquillamente all’anno e si cambia in meno di un minuto).

L’hanno inventato, ‘sto benedetto AirTag, per non farci perdere le cose: lo attacchi al portachiavi, lo metti nella ventiquattrore, c’è persino chi l’ha inserito in braccialetti di silicone e fatto indossare ai bambini in gita (non si sa mai), ti fa rintracciare di tutto, dalla bicicletta (che lasciare fuori dal super incustodita oramai è oltre l’azzardo cittadino) ad, appunto, la macchina, che non ricordi mai in quale stallo l’hai parcheggiata. Solo che le tecnologie sono così, gran cosa finché non finiscono nella mani sbagliate. E il risultato, ora, per Juan Jesus è che, suv a parte («i beni materiali, alla fine, sono secondari», parola sua), «sapere che un estraneo ha violato una cosa mia personale mi fa stare veramente da schifo».

Soprattutto se quell’estraneo, col trucchetto del “tracker” (nome comune di AirTag), è stato per quattro settimane in grado di segnarsi, via dopo via, angolo dopo angolo, tutti i tuoi spostamenti. Non fa piacere a nessuno, siamo onesti. È sufficientemente inquietante. Il calciatore azzurro ha sporto denuncia (giusto) alla Digos, forse la vicenda passerà di competenza alla Squadra mobile, ma di certo verranno fatte le indagini necessarie (giustissimo) per capire in sostanza due cose: primo, se dietro al furto c’è una banda organizzata o qualche semplice teppistello e secondo, se la tecnica degli AirTag (che non è nuova e non ha colpito Juan Jesus per primo: i primi a osservarla sono stati, semmai. i poliziotti canadesi nel non tanto lontano 2021) fa parte di un disegno un po’ più vasto che prende di mira le auto di lusso.

 

 

Attenzione, però: il fenomeno dell’uso truffaldino dei “traker” (viene impiegato anche nei casi di stalking, purtroppo) è talmente vasto ormai che sia Apple che Google hanno implementato dei sistemi per avvisare le potenziali vittime qualora un AirTag oppure un dispositivo analogo sia associato a cose o persone senza che le suddette cose o persone ne sappiano nulla (in poche parole un messaggino sul telefonino dovrebbe segnalarti la sua presenza). Rimane il fatto che al primo sospetto è sempre meglio rivolgersi alle forze dell’ordine.