Interpretazioni

La libertà di manifestare? È sacra soltanto se sei un compagno

Fausto Carioti

È sempre divertente il modo in cui a sinistra interpretano il diritto costituzionale a «manifestare liberamente il proprio pensiero»: usano il criterio libertario a seconda della convenienza, ricordandosene solo quando c’è da applicarlo ai loro amici. Il corteo di ieri a Roma, organizzato dalle sigle della sinistra filo-palestinese, è una perfetta cartina tornasole. Il governo l’ha vietato, per la violenza delle idee espresse dagli organizzatori e per ragioni di ordine pubblico. Come ha motivato Matteo Piantedosi, «alla vigilia del 7 ottobre e per il modo in cui era stato proposto c’era il forte rischio che fosse celebrativo di un eccidio e foriero di turbative di piazza». Come si è visto, aveva ragione. L’opposizione ha reagito scagliandosi contro il ministro dell’Interno. Per Marco Furfaro, della segreteria del Pd, «continuare a vietare, a reprimere il dissenso è la peggior cosa che si possa fare». Secondo i Cinque Stelle il governo, anziché vietare, avrebbe dovuto «garantire il diritto costituzionale di manifestare pacificamente». I rossoverdi di Avs hanno ammonito che «vietare le manifestazioni è sempre sbagliato e controproducente» e ciò che resta di Rifondazione comunista ha parlato di «ottusa decisione di stampo fascista».

È la tesi che ieri ha difeso meglio di tutti il professor Vladimiro Zagrebelsky. Sulle colonne della Stampa ha spiegato che quel divieto «pone problemi», perché la Costituzione stabilisce che «i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi» e che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero», senza bisogno di chiedere autorizzazioni. Ha citato il nobile principio espresso dalla Corte europea dei diritti umani, per la quale la libertà d’espressione «vale non soltanto per le informazioni o le idee che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica». Insomma, «anche un’idea ripugnante ha diritto di essere manifestata». Si potrebbero prendere sul serio, questi nuovi volterriani, se non sostenessero la tesi opposta quando chi invoca il diritto di manifestare le proprie idee non esce dall’album di famiglia della sinistra, ma viene da destra.

Quelli che nei giorni scorsi hanno difeso i partecipanti al corteo di ieri in nome della libertà sono gli stessi che adottano il criterio contrario ogni volta in cui vogliono manifestare quelli di Casa Pound, o di Forza Nuova, o i patetici che vanno a Predappio in camicia nera. Allora i volterriani smettono di essere tali e invocano l’intervento dei gendarmi con i pennacchi affinché si ponga fine all’indecenza. Allora la difesa delle idee «che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione» non vale più, anzi diventa pericolosa.

Nemmeno il professor Zagrebelsky è immune da questo strabismo. È lo stesso che nel 2021, a proposito di Forza Nuova, citando la Convenzione europea dei diritti umani spiegava che «la libertà d’espressione non riguarda l’apologia di regimi totalitari e l’istigazione alla violenza o alla discriminazione razziale» (e che altro fanno gli apologeti di Hamas e di Hezbollah che vogliono cacciare dall’Italia «i sionisti», ovvero gli ebrei e chi difende Israele?). Sempre lui, un anno fa, sullo stesso quotidiano, argomentava che «bruciare il Corano non è libertà d’espressione», perché in quel caso «la volgarità e l’intenzionale offesa, prive di qualunque ragionamento ed esposizione di argomenti, rende chiaro il prevalere del diritto dei credenti musulmani al rispetto della loro libertà di credere». Non tutte le idee «ripugnanti», dunque, sono libere di essere espresse. Ma chi decide quali sì e quali no? E con quale logica?

Di certo non può reggere la versione per cui, essendo vietata dalla Costituzione la riorganizzazione del Partito fascista, le idee di estrema destra meritino un trattamento più severo. Primo, perché la loro manifestazione non ha nulla a che vedere con la ricostituzione (appunto) del Pnf, l’unico criterio oggettivo che conti. Lo hanno stabilito decine di sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione, nelle quali il cosiddetto «saluto romano» e gli slogan fascisti non sono stati considerati reati perché non contribuiscono a ricreare il partito fascista e sono tutelati dalla libertà di manifestazione del pensiero. 

Secondo, perché se adottiamo un criterio più restrittivo, per includere nel divieto tutte le esibizioni di idee razziste e violente, quelle di chi ieri è sceso in piazza appartengono appieno alla categoria. Glorificano la strage dei loro coetanei ebrei («Viva la resistenza, viva il 7 ottobre», è uno dei tanti slogan con cui, sui social network dei Giovani palestinesi italiani, si è annunciato il corteo) e vogliono cancellare lo Stato d’Israele «dal fiume al mare». Sterminio degli ebrei, distruzione della loro patria: c’è qualcosa di più nazista? E allora o tutti o nessuno. Non si può dire che i nazisti rossi e filo-islamici sono liberi di manifestare e i nostalgici del duce no, e pretendere di rimanere credibili. La tesi della ripugnanza a gettone rende ridicolo chi la sostiene.