Una brutta storia

Maurizio Landini, il crac Sicilia: ballano 300 lavoratori

Antonio Castro

Una barcata di milioni (si stima circa 3/4 nel 2023), un fallimento già conclamato, circa 300 lavoratori che rischiano di finire (se andrà bene) in cassintegrazione o proprio licenziati. Se non in un fantasioso part time a ore (poche, pochissime ore), tante quante bastano a lasciare in piedi il contratto, magari con un bel trasferimento lontano da casa così da invitare “spintaneamente” alle dimissioni.

Benvenuti nel magico mondo della Cgil siciliana dove la sede regionale del sindacato è ad un passo dal tracollo economico. E allora c’è chi si inventa l’impossibile per puntellare i conti (la fantasia contabile è diventata un’arte), lanciare una “caccia alle streghe” per rendere irrespirabile l’ambiente di lavoro, tagliare le uscite economiche e provare a rimpinguare le entrate. Il giochino - non solo in Sicilia ma anche in molte altre regioni spifferano le tante oneste gole profonde che supplicano l’anonimato per continuare a portare a casa la pagnotta- si regge quasi tutto sui fantomatici Centri di assistenza fiscale. I Caf ai quali lavoratori, pensionati, badanti e immigrati si rivolgono per compilare la dichiarazione dei redditi, chiedere un bonus, fare domanda di pensione o altri interventi veicolati dall’Inps o dal ministero dell’Interno.

La grana - che ora rischia di attirare l’attenzione congiunta di Agenzia delle Entrate, Ispettorato del lavoro, Corte dei Conti e ovviamente dell’Inps - è scoppiata nel 2019/2020. L’attuale segretario della Cgil siciliana Alfio Mannino- fedelissimo del compare nazionale Maurizio Landini - si è trovato la patata bollente del fallimento della società Caaf Cgil Sicilia. Caaf con due “aa”, attenzione. Alfio - constatato il fallimento della Caaf (2018/2019) - ha pensato bene di aprire una nuova società “pulita”: nasce così la “Caf Cgil Sicilia”. Si va a risparmio con le vocali per mettersi a riparo dal fallimento conclamato (una “a” in meno, una partita Iva nuova pulita e senza debiti). E così nel 2020 vede la luce la nuova società che controlla le società di servizi.

 

E già così ce ne sarebbe abbastanza per far scattare la mosca al naso a qualche ispettore. Ma i rappresentanti sindacali siedono nei collegi di vigilanza e quindi non c’è alcuna fretta di segnalare che dei lavoratori (assunti dalla Cgil) possano perdere non solo il posto di lavoro. Ma anche non vedere il becco di un quattrino del proprio trattamento di fine rapporto (Tfr, salario differito che ammonta a circa il 9% della retribuzione lorda annua).

Ma c’è dell’altro: intorno al 2000 si inventano il giochino del prestito del personale. I Caf ricevevano fittiziamente il personale in prestito dalla Cgil provinciale e regionale. Ma nessuno usciva dalla propria stanza. Poi scoppia la stagione Covid (febbraio 2020), il valzer degli spostamenti non si esaurisce. Anche la Cgil pone in cassa Infis i propri lavoratori visto che non ha i soldi per pagare gli stipendi. Chi lo fa per mancanza di soldi, chi per aumentare gli introiti a scapito delle casse pubbliche. Succede un po’ ovunque: a Catania, a Palermo, ad Agrigento, a Messina, a Trapani. Così come a Caltanissetta, Ragusa, Siracusa.

I dipendenti “viaggiano” virtualmente in prestito al Caf. Il Caf riconosce alla sede sindacale di partenza i quattrini per coprire lo stipendio. In più le sedi di assistenza fiscale versano un obolo che va ad ingrassare le casse delle strutture provinciali e regionali. Precisazione: una società qualsiasi oltre ai contributi tradizionali versa anche l’aliquota Ivs, il contributo malattia e una percentuale per coprire l’eventuale Cig. Uno “sconto” stratificato e varato per aiutare l’attività sindacale quando era la stagione della vacche grasse e nessuno faceva tante domande.

 

 

Scoppia l’epidemia Covid. In teoria i dipendenti dovrebbero essere messi in Cig. Al massimo lavorare da remoto. Ma alcuni dipendenti della Cgil siciliana pare di no. Continuano a lavorare ma a pagare a fine mese è l’Inps con l’assegno Covid. In alcune realtà locali, giurano i dipendenti che ci hanno lavorato, i responsabili dei Caf passavano la sera a chiusura degli uffici, facevano i conti della giornata (tessere, iscrizioni, attività a pagamento), incassavano i contanti alla faccia della trasparenza e della tracciabilità finanziaria dei trasferimenti economici. Infischiandosene della contabilità refertata. Il flusso ordinario di cassa, insomma, si sarebbe involato e invece che essere ripartito tra le casse del Caf (che presta il servizio) e la sede sindacale locale non rimaneva neppure uno spicciolo.

Poi, raccontano a Libero, si giocava con la fantasia di bilancio. Iscrivendo nella partita dei crediti partite inesistenti così da lasciare in piedi una società che altrimenti avrebbe dovuto portare i libri in tribunale e dichiarare il fallimento. I soci delle Cgil provinciali (insieme alle categorie: Spi/pensionati, Fillea e funzione pubblica), iscrivevano anch’esse crediti nei propri bilanci. Per poi, dopo anni, passare alle unità provinciali le quali, ovviamente, di anno in anno iscrivevano in colonna come inesigibili.

Alla fine della fiera a rimetterci sono una sfilza di lavoratori del sindacato (che rischiano lo stipendio, il Tfr e di finire in qualche sede per poche ore al giorno tanto per costringerli ad andarsene). Adesso la Cgil siciliana ha circa 300 persone da sistemare. La chiamata è nominativa. Non c’è alcun diritto di prelazione né di anzianità. Girano tante storiacce: dai racconti più pruriginosi (relazioni clandestine, carezze e affettività interessate), a vere raccomandazioni dove viene sistemato - magari senza competenze - in base alla mera fedeltà di schieramento. C’è poi la favola che circola sull’uso (o forse abuso, è ancora un mistero) del lavoro interinale. Ma questa merita un altro capitolo.