Altolà

Turismo, salviamo l'Italia e i suoi tesori dall'invasione barbara del popolo del selfie

Gianluigi Paragone

 

Certo, ogni argomento merita, per carità. Merita la partita del cuore con tanto di abbraccio tra Elly e Matteo sotto lo sguardo di ‘Gnazio. Merita la von der Leyen, la nomina di Vance come vice di Trump e ogni riga dedicata alla politica estera. E meritano pure gli spazi sulla calata dei nuovi eurodeputati a 19mila euro e rotti al mese per un parlamento che non rappresenta nemmeno il potere legislativo; le spaghettate partigiane e la rottura tra la Pascale e la Turci. Potrei andare oltre nell’elenco delle notizie. Tutto importante. Ma...Ma perché non si apre una riflessione seria sull’ennesimo atto di brutalità compiuto a danno del nostro patrimonio artistico? Una volta sono i tifosi che rovinano la Barcaccia in piazza di Spagna, un’altra i “turisti” che griffano a modo loro il Colosseo o il patrimonio di Pompei, un’altra ancora quelli che devono farsi il selfie con la Paolina Borghese custodita nella gipsoteca di Possagno rovinandola. Fino alla cretina ubriaca che troieggia con il Bacco del Giambologna a Firenze. La domanda di fondo non può limitarsi alla sanzione per il vandalismo (che purè questione essenziale del tema); ne merita un’altra ancora più severa e rigida: a che servono questi gitanti?

A CHE SERVE?

Me lo domando tutte le volte che vedo carovane di persone che presumibilmente sbarcano dalle navi da crociera o da improbabili bus tour dove si passa dal Pantheon a Sant’Ignazio, la “chiesa dello specchio che va su Instragram” (ho sentito chiedere anche questo, liquidando la falsa prospettiva a un meme...
) e poi nel giringiro italiano da Ponte Vecchio a quello dei Sospiri, dall’Arena di Verona alla Valle dei Templi: tutto in dieci giorni. A cosa serve questo turismo? Sicuri che nobiliti l’Italia, una Nazione che vanta il più alto numero di siti tutelati dall’Unesco? Il ragionamento sarebbe lungo ma avverto un certo disinteresse ad alzare di livello l’offerta turistica.

 

 

 

COME AL CENTRO COMMERCIALE

Lo dico con la stessa brutalità con cui l’Imperatore nei giochi del Colosseo indicava pollice su o giù (altro che il like dei social... Non hanno inventato niente di nuovo): questo turismo che fa volume non serve, è da bocciare; questi turisti mordi e fuggi, quelli che l’importante non è conoscere e capire ma apparire sui social, li regaliamo volentieri alla realtà aumentata dei visori di Google, tanto per loro è lo stesso anzi risparmiano sul viaggio. Stare nelle nostre grandi città ormai è come condividere gli spazi dei centri commerciali: si guarda, si tocca, si fa il selfie e poi avanti con la prossima tappa. Non c’è apprezzamento, la narrazione viene decontestualizzata dal suo senso per essere trasportata nel mischione. Non dare valore a un “bene” significa svuotarlo di valore e noi non possiamo permettercelo; primo perché le città si consumano e non reggono questo carico umano; secondo perché il valore culturale italiano va preservato in quanto sinonimo di eccellenza, di bellezza, di storia. C’è chi paga un occhio della testa per vedere Taylor Swift e noi facciamo pagare caro per accedere al nostro patrimonio.

SERVONO PREZZI DA BOUTIQUE

Non è soltanto un discorso di soldi (un cafone resta cafone anche se ha linee di credito illimitate) ma quell’introito gira all’interno di un patrimonio costoso. Chi va all’estero sa benissimo quanto si spende per visitare “pezzi” che al confronto con i nostri non meritano quel valore; eppure lo fanno. È una questione di scelte: la crociera fa tappa in Italia? Bene, dal 5 al 10 per cento del biglietto di ogni biglietto resta all’Italia. Sia chiaro, sto buttando delle cifre a mo’ di provocazione per affermare il principio per cui si deve disincentivare l’arrivo in massa di gitanti il cui unico scopo è farsi il selfie. Ps. Tutto ciò detto, se l’Italia si vende come boutique deve rivedere la sua postura di padrone di casa.