Evoluzione del linguaggio

La dimensione pop della parolaccia: quello che la sinistra elitaria non capisce

Corrado Ocone

Non bisogna mai sottovalutare gli articoli di Concita De Gregorio. Essi non sono solo espressione di uno stato d’animo, ma indicano una tendenza, fanno scuola. Certo, stiamo parlando di un ristretto cerchio di autoproclamatisi intellettuali, tutti di buona famiglia, col portafoglio pieno ma il cuore a sinistra, animatori di elitari salotti e frequentatori di località e spiagge deputate. Si sa, tuttavia, che alla sinistra è rimasto ben poco, oltre questo. E quindi facciamoci coraggio, superiamo le asperità di una scrittura che vorrebbe essere raffinata ma è solo un bel po’ contorta, e prestiamo attenzione a ciò che ci dice la De Gregorio, nel dettato e fra le righe.

PERFINO IL PAPA

Ieri, leggendola su Repubblica, abbiamo finalmente capito che, mostratasi fallimentare e usurata l’arma del fascismo montante e della deriva autoritaria, nei salotti che contano si sta preparando una nuova strategia per colpire gli usurpatori melonian-salviniani: la destra è quella rozza che insulta, usa parolacce, e presto rutterà e farà flatulenze in pubblico (testuale!); la sinistra è invece quella delle «buone maniere» e del parlare forbito.

In verità, quella delle flatulenze deve essere proprio un’ossessione della De Gregorio, che vi si dilunga per più righe e si chiede, fra l’altro, pensosa e non ironica come forse vorrebbe essere, «come mai non è in nessuno slogan elettorale l’elitario stigma del peto. Come mai non è in uno di quei manifesti dove i “tappi europei” schiacciano il naso, non era meglio quando il tappo lo potevi buttare per strada e un po’ dove cazzo ti pareva? Questo fardello dell’Europa dei tappi». Nella destra è ormai annoverata anche quella che fa capo al Papa, quel Francesco che ultimamente sta dando un bel po’ di dispiacere ai nostri amici che equivocando ne avevano fatto un santino del progressismo globale (una sorta di Manu Chao col vestito bianco).

Lui e la Meloni sono infatti sul banco degli accusati: il premier per aver ricordato al governatore della Campania un epiteto sessista da lui usato contro di lei senza che nessuno reagisse; il Papa per aver chiamato gli omosessuali, affettuosamente, con il nome con cui li si chiama nella cultura popolare, e non con quello edulcorato e ipocrita di gay che la cultura del “politicamente corretto” ci ha ormai imposto. «Hai voglia a dire che stronzo non si dice, frocio nemmeno, hai voglia a fare il sopracciglio alzato: quella roba lì funziona», sentenzia Concita.

Ma perché funzioni non se lo chiede: chiusa nel suo mondo autoreferenziale, non riesce nemmeno ad immaginarlo. Non certo perché la destra sia brutta e sporca e non sappia parlare altrimenti, ma perché la gente comune è stanca delle gabbie mentali e ideologiche in cui la sinistra vorrebbe rinchiuderci. Una sana reazione, nulla di più: un po’ come il Fantozzi che all’ennesima replica della Corazzata Potemkin sbotta in un liberatorio vaffa diretto a quella che pure non era affatto una «cagata pazzesca» ma un capolavoro cinematografico (sono sicuro ne fosse consapevole anche lui).

 

 

 

ZAVATTINI DOCET

Ed un po’ come quel «cazzo» pronunciato alla radio nel lontano 1976 da Cesare Zavattini che, rompendo un conformismo di maniera, fu tanto apprezzato proprio a sinistra. La quale, prima della sua deriva salottiera, in certe opere di provocazione linguistica e pop era maestra (quando le fu affidato il compito di rilanciare L’Unità, nel 2008, Concita non esitò a servirsi di frasi equivoche e ragazze in minigonna per lanciare il nuovo prodotto).

Certo, oggi siamo tutti molto più spregiudicati nel parlare rispetto a un tempo, ma il linguaggio evolve di suo e non certo per colpa di una parte politica o della destra becera. E in ogni caso la volgarità non è nelle parole, ma nei toni, nelle intenzioni, nei contesti linguistici e di vita in cui vengono usate. Che è forse un concetto un po’ complicato anche per chi si vanta, come fa la nostra, di «aver fatto latino alle medie». Questo per dire della gente comune, che la De Gregorio tanto disprezza dall’alto del suo elitismo borghese.

 

 

 

IDEALE

Quanto alla Meloni e al Papa, ciò che dà fastidio è però che essi sappiano parlare all’uomo della strada, che non frappongano fra loro e gli altri un velo di ipocrisia e di distacco aristocratico, come fanno un po’ tutti i potenti di sinistri, forti di una superiorità etica e culturale tutta da dimostrare.
Sono leader veri, in cui le persone si identificano. Sono, detto altrimenti, coloro che hanno messo in pratica quell’ideale di cultura nazional-popolare che Gramsci pensava potesse fortificare a sinistra, ma che invece, astuzia della storia!, oggi troviamo ben saldo e radicato solo a destra.