Il lemma

Frociaggine, le origini della parola usata da Papa Francesco

Massimo Arcangeli

 

Il termine frociaggine, spuntato fuori all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, è la condizione del frocio, con tutto quanto ne discenda in fatto di stili, atteggiamenti, comportamenti e altro.

Sull’etimologia di frocio si è tirato fuori di tutto. C’è chi ha supposto l’esistenza di una fantomatica Fontana delle Froge, luogo di raduno dei gay capitolini. Alcuni si sono ricollegati a frons(c)é (“francese”), come corruzione di franscé (cfr. «Monsieur Sganarelle Franscè» in un dramma per musica goldoniano: Amore artigiano, atto I, scena XIV), per l’affettata, sciccosa, femminile eleganza dei modi – di agire e di parlare – dei nostri cugini transalpini. Per altri si risalirebbe a feroci con riferimento ai Lanzichenecchi del sacco di Roma (1527), violentatori senza tanti scrupoli di uomini e donne, che sono stati chiamati in gioco, come i miliziani papalini loro omologhi, anche da chi ha pensato ai loro nasi di avvinazzati, arrossati e gonfiati dalle forti bevute.

L’origine più probabile di fro(s)cio – attestato in Pasolini, Tondelli, Busi, ecc. – sono proprio le due cavità nasali, le froge. Si muoverebbe dal termine romanesco popolare (frocio) che le indica, affibbiato a forestieri e stranieri a partire dal Seicento e in particolare a francesi (cfr., nel seicentesco Jacaccio di Giovanni Camillo Peresio: «Havea a la moda froscia un vestitino» VII, 90), inglesi e tedeschi, compresi, per l’appunto, i soldati svizzeri posti a guardia del Papa. Col significato di “tedesco” frocio sarebbe sopravvissuto a lungo, ancora tra Otto e Novecento: «Schioppa, cristo de ddio, ’na ribbejjone, / curre er froscio, eli guai sò arimediati!» (Giuseppe Gioachino Belli, La bona stella, 7-8); «Ma tu parla co’ Nina la mammana, / che de sta roba se n’intenne a fonno, / be’, che dice? Che l’opera italiana / è la più mejo musica der monno. / E tu che soni appena la campana, / me venghi a di’ che er frocio sia profonno?» (Cesare Pascarella, La musica nostra, 4-6); «Con questo nome il volgo romanesco suol chiamare i tedeschi perché fra questi vene sono molti che hanno i nasi schiacciati e quindi le narici (le froce) molto dilatate.

Oggi frocio ha preso un altro significato che non occorre dichiarare»: Filippo Chiappini, Vocabolario romanesco, (...), III edizione, Roma, Chiappini. 1967, s.v. frocio. Come si può dar torto a Bergoglio, con tutti gli svizzeri tedeschi a protezione della sua persona, per giunta con le loro frocie divise sgargianti, sull’eccesso di frociaggine in Vaticano?