Pioggia di ricorsi

Vigili urbani, concorso-farsa a Roma: sommelier avvantaggiati e domande sulle infradito

Claudia Osmetti

Iole Urso parla di «procedura farsa», ma il caso, a Roma, rischia di trasformarsi un’enorme voragine, che poi, se s’allarga per strada e trascina giù quel che trova, chi chiami? Mica i vigili urbani, visto che sono proprio loro il nodo del contendere. Un concorsone interno, in burocratese una «procedura di progressione tra le aeree per 690 posti», 2.500 partecipanti e almeno un centinaio già pronto a fare ricorso al Tar per annullare ogni cosa: solo a raccontarla sembra una barzelletta. Un colloquio motivazionale il quale, in corso d’opera, diventa “tecnico-operativo” (dato che non ci sono psicologi da mettere in commissione) e pieno zeppo di domande random, a chi tocca tocca (ma non tocca a tutti ed è parte del problema), della serie: “Cosa faresti in caso di fuga di un leone?”. Oppure: “Se un tuo collega si presentasse al lavoro con le ciabatte come reagiresti?”. O ancora: “Cosa succede se scoppia la guerra?”. Quesiti validi più per un corso di scrittura creativa, ma sono dettagli: rispondere correttamente (ammesso che ci sia una riposta corretta) poteva valere fino a quattordici punti. 

Poi le graduatorie sui titoli di studio: qualità e materie affini alle mansioni da andare a ricoprire? Macché. Un diploma (qualsiasi) garantiva diciotto punti; una laurea (qualsiasi, anche in Tecnologie del legno: esiste, esiste) altri 35; un certificato (qualsiasi, metti la patente europea per il computer) tre; le attestazioni sulle lingue straniere tutte accolte senza lo stralcio di una verifica (però i madrelingua, loro no, vaglielo a dire alla vigilessa polacca che è rimasta a bocca asciutta).

 


Il risultato sono esiti assurdi. Esempio. Nel 2004 Giorgio De Angelis aveva solo 28 anni e faceva parte del reparto motociclisti del Primo gruppo della polizia municipale romana. Era diventato una sorta di eroe, De Angelis, ai tempi: Per congratularsi con lui che aveva posto fine alla latitanza del criminale Luciano Liboni, l’allora presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva telefonato all’allora sindaco di Roma Walter Veltroni. Oggi, vent’anni esatti dopo, De Angelis s’è beccato un tre secco al colloquio per far carriera nel Corpo dei pizzardoni. È che non aveva il certificato da sommelier. E no, non è una battuta. O meglio, se lo è di riso amaro. Perché chi quella qualifica la poteva vantare, oltre ad avere un palato fino, s’è aggiudicato i tre punti di cui sopra per i certificati (lo stesso è valso per gli agenti immobiliari che fanno un lavoro preziosissimo, per carità, eppure di preciso, vien da chiedersi, anche un po’ alla dipietrese, ma che c’azzeccano col traffico di via del Corso?) È andata così e adesso va che «stiamo facendo gli accessi agli atti e a breve depositeremo un ricorso», chiarisce Ur so, che è tra i principali avvocati capitolini che seguono la questione: «A fronti di criteri trasparenti e oggettivi, altri soggettivi e manipolabili sarebbero risultati decisivi per il punteggio finale».

 

L’ennesima grana, o l’ennesima figuraccia, per l’amministrazione del Campidoglio. Condita pure con qualche stoccata perché alla fine, su 2.500 candidati, qualcuno col dente avvelenato lo trovi. «Quasi tutte le Rsu e i delegati sindacali», sbotta uno dei futuri ricorrenti, «hanno preso il massimo dei voti o quasi». Comprese le figlie, specifica l’edizione locale di Repubblica, dei delegati regionali di Cgil e Cisl, nonché la sorella del collega Uil.
Un caso, il concorso. Ma una coincidenza forse no, anche perché il maxi ricorso “collettivo” che si paventa non è il primo: uno analogo era stato presentato, a settembre del 2023, da un dipendente della locale romana. Niente. Per una Urso che tira dritto («L’obiettivo del ricorso è dimostrare che questa procedura concorsuale è stata una sorta di farsa perché si è trattato di una procedura facilmente manipolabile») c’è un Andrea Catarci, che a Roma fa l’assessore al Personale, che addirittura si applaude da solo: «Abbiamo sbloccato una macchina ferma da quindici anni, è comprensibile che chi non sia rientrato si sia arrabbiato. Siamo convinti che le procedure siano state trasparenti». Di certo non sembra finita qui.