Segnali di resa
Canosa di Puglia, festa di fine Ramadan nella Chiesa: bufera sul parroco
La Chiesa cattolica al servizio dell'Islam per il Ramadan. I più oltranzisti la leggeranno così, e forse chi parla di parla di passaggio dal "relativismo" al "declino culturale" non ha tutti i torti. E' destinata a far rumore la decisione di un parroco di Canosa di Puglia, in provincia di Bari, di concedere i locali della parrocchia ai fedeli musulmani per celebrare la fine del Ramadan, la festa islamica che da giorni sta tenendo banco nell'agenda italiana, a partire dalla scelta di una scuola di Pioltello di chiudere per venire incontro la 40% di studenti stranieri e in particolare, appunto, fedeli di Allah.
"So che vuol dire sentirsi soli. Conosco il vuoto che crea l'assenza di un saluto o di una mano a cui aggrapparsi. Ecco perché festeggiare qui la fine del Ramadan, in un luogo messo a disposizione dalla Chiesa cattolica diventa un momento di meravigliosa convivenza. Per me era un sogno e oggi è stato realizzato". Il commento è di Soumia Jabrane, 41enne di origini marocchine, coinvolta nell'organizzazione della colazione per i musulmani a Casa Francesco.
Una mensa solidale e interreligiosa voluta fortemente da don Felice Bacco, parroco della cattedrale dedicata a San Sabino. Il sacerdote ha voluto mandare un messaggio forte di solidarietà, un aiuto a chi non ha casa né famiglia in Italia: "È stato naturale consentire loro di rispettare quanto la loro religione prescrive". E così ha deciso di offrire il pasto ai musulmani che frequentano la mensa.
Un abbraccio ecumenico che fa storcere il naso a chi, come Dagospia, non può non sottolineare come questa buona disposizione verso l'altro non sia, spesso, a doppio binario: "Vallo a dire agli islamisti che ci considerano infedeli", commenta polemicamente il sito fondato e diretto da Roberto D'Agostino. E basterebbe ricordare come culturalmente, spesso, Cattolicesimo e Islam (anche quello considerato, a torto o ragione, "moderno") sembrino due mondi paralleli e non conciliabili. Un esempio? Le donne rinchiuse in veri e propri recinti perché "impure" proprio durante il momento di preghiera pubblica per il Ramadan.
"Nessuno qui deve sentirsi estraneo, siamo tutti uguali - rivendica però don Felice, raggiunto dall'agenzia Ansa -. Come dice l'enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco, ci ritroviamo nello stesso Dio. La fede è diversa ma ci riconosciamo fratelli e questo è motivo di accoglienza". La speranza è che le parole di Soumia ("Qui ci siamo sentiti fratelli, accolti e per noi che arriviamo da lontano è davvero importante") facciano breccia anche in quell'ala più radicale del mondo islamico trapiantato in Italia.