Dopo gli scontri

Polizia, ecco quando e come la polizia interviene

Tommaso Montesano

«Quante volte siamo tornati a casa con la divisa sporca, dopo aver preso di tutto: sputi, insulti, oggetti... E allora ti scappa da dire: “Ma guarda questo funzionario, non ci ha fatto fare nulla”. I poliziotti del reparto mobile non possono agire in autonomia, sono a disposizione del funzionario della questura. E se la consegna è di non reagire, se il compito è solo quello di fare sbarramento, puoi anche stare lì per ore senza muovere un dito».

L’ispettore Franco Zucchelli, da 34 anni in Polizia, da 20 è in forza al primo reparto mobile di Roma. È un capo-squadra. Un “celerino”, in pratica. Adesso è anche segretario provinciale del Mosap, che a Roma, con il Coisp, è il primo sindacato. «Spesso sono anche capo-contingente: da me dipendono più squadre durante il servizio di ordine pubblico». Nessuno meglio di lui conosce ciò che accade in una piazza tradizionalmente calda come quella della Capitale.

«Una squadra è composta da me e da altri nove uomini, ma l’autista non scende mai dal mezzo». Gli operativi, dunque, sono otto. E gli scudi, in media, quattro. «Il capo-squadra ha solo lo sfollagente». «In teoria», fa di conto, «ogni squadra dovrebbe badare a 100 manifestanti». È questa la proporzione per capire quanti uomini sono impiegati sul terreno. Già, ma le regole quali sono?

«Non esistono regole di ingaggio condificate per l’ordine pubblico», spiega Zucchelli. E qui si torna al funzionario: è lui- quello con la fascia tricolore- che decide, a sua volta in collegamento con la questura, come agire «a seconda di come evolve la manifestazione».

 

LO SBARRAMENTO STATICO
Il punto di partenza è lo sbarramento statico. Il caso più frequente, a Roma ce ne sono praticamente tutti i giorni, è quello della vigilanza a tutela di una sede istituzionale in presenza di manifestanti che protestano. «Gridano slogan, fischiano, mostrano manifesti, striscioni, suonano i tamburi e poi se ne vanno». Ma non sempre è così. «Può accadere che tentino di forzare il blocco per entrare, ad esempio, in un ministero. In quel caso si fa un intervento di alleggerimento». Ovvero: «La squadra, schierata con gli scudi, fa un passo avanti. In genere, con manifestanti tranquilli, basta questo per riportare l’ordine».

Le cose cambiano se di fronte al reparto mobile c’è un’opposizione «violenta, che attacca per prima la squadra. E allora l’alleggerimento diventa carica». Ma anche la carica ha le sue regole. «Secondo il Testo unico delle leggi della pubblica sicurezza, il funzionario deve intimare per tre volte lo scioglimento della manifestazione. Una volta c’era il trombettiere, che suonava tre volte». Specchio dei tempi. Tant’è: «Se compaiono i primi segni che la manifestazione sta cambiando natura, iniziano le cariche». Alcuni segnali per capire che il clima sta mutando sono inequivocabili: i manifestanti inziano a coprirsi il volto, a indossare i caschi, e poi spuntano le mazze. A quel punto, disatteso l’ordine di disperdersi, parte la carica. «Che deve durare poco, il tempo di allontanare i facinorosi. Raggiunto l’obiettivo, bisogna ricompattare il reparto e tornare in posizione», dice Zucchelli. E i lacrimogeni? «Vanno sparati solo quando la folla non si disperde. Io li ho usati l’ultima volta nel novembre del 2012, nel corso di una manifestazione degli studenti a Roma nella quale di erano infiltrati i “black bloc”. Fu una manifestazione violenta, erano organizzati».

 

POCHE ALTERNATIVE
Il segretario provinciale del Mosap preferisce non entrare nel merito di ciò che è accaduto a Pisa. Se non altro perché non era impegnato in quel servizio. Tuttavia qualcosa si sente di dire: «Le manifestazioni devono essere sempre autorizzate. E se chi non è autorizzato a essere in strada tenta anche di passare laddove non dovrebbe, ad esempio verso una sede diplomatica da proteggere, be’, io non vedo alternative alla carica». Per questo è amareggiato quando vede che quello che resta «è l’immagine del collega in divisa che manganella...».