Prospettive
Torino, nel nuovo #metoo il solito comunismo. Ma alle donne servono altre lotte
Allarme rosso all’Università di Torino. La violenza di genere dilaga. Ovunque. Coinvolge tutti. Professori, studenti, bibliotecari, personale di servizio. Diciamolo con una parola sola: i maschi. La denuncia viene da un coraggioso collettivo di studenti. Un collettivo di studenti comunisti. Soprattutto comuniste. Che ha inventato un meccanismo semplicissimo per scoprire il vaso di pandora del “Me too”. Una bacheca sulla quale chi vuole può mettere un avviso con una denuncia, rigorosamente anonima, contro un violentatore rigorosamente anonimo anche lui.
Le denunce in pochi giorni sono diventate centinaia.
Chi denuncia un professore di avere sfiorato la gamba di una studentessa durante una riunione di un consiglio di dipartimento, chi un bidello di aver fatto apprezzamenti sull’aspetto di una ragazza, chi uno studente di aver tentato approcci non graditi, tipo - immagino - “vuoi venire a cena con me”?
PERVERSIONE DI MASSA
Il Collettivo del quale stiamo parlando si chiama “Cambiare rotta” e si definisce “Organizzazione Giovanile Comunista”. Si occupa molto di lotta al fascismo in varie forme che preferisco non approfondire. In ogni caso voi capite bene che dalla lettura di tutto ciò emerge un quadro di clamorosa perversione di massa. Che dimostra come la nostra società sia ancora sotto il tallone di ferro del patriarcato. Altroché!
Anzi, di una forma aggressiva e illegale di patriarcato fatto di continue e quotidiane violenze sessuali. Che, a quanto pare, non sono un'eccezione ma sono la norma del comportamento maschile in un luogo eletto come una università. Il fatto che non si sa chi denuncia e non si sa chi è denunciato, ma si vengono solo a conoscere degli episodi assolutamente veniali di molestie, è assolutamente secondario. (Del resto se uno ti dice, magari, che sei bella, è chiaro che è un violentatore, e cercare di ridimensionare la violenza di questa affermazione è il tipico atteggiamento dei maschilisti della peggior specie). La novità della denuncia sta nella forza e nell’estensione dell’iniziativa del collettivo comunista. Il metodo, forse, non è del tutto nuovo. Si chiamavano così collettivi comunisti - anche quelli che sul finire degli anni sessanta furono il cuore e la leva della “rivoluzione culturale di Mao”. Ve la ricordate? Quella del libretto rosso: «L’imperialismo è una tigre di carta...». E quei collettivi funzionavano esattamente nello stesso modo.
Chiunque era autorizzato ad appendere sui muri delle città cinesi dei grandi manifesti, scritti col pennarello, sui quali si denunciavano le malefatte dei dirigenti del partito considerati infedeli a Mao, o dei professionisti, degli ingegneri, dei medici, dei professori. Ora voi magari mi direte di non farla tanto lunga, che in fondo è solo folklore. No, non è così, tanto è vero che i ragazzi comunisti sono finiti sui grandi giornali.
IN CERCA DI RIBALTA
Seppure con qualche ironia, sollevo un problema: la lotta alla violenza contro le donne è una cosa molto seria. Farla in questo modo cialtrone ostacola le battaglie vere: danneggia le donne, ridicolizza il femminismo. Lo riduce a piccolo strumento della politica dei bucrati. Che cercano visibilità, e consenso, e seguito, e popolo, ricopiando in modo stanco e approssimativo gli slogan e i tic dei loro genitori. Il femminismo anni ’70, le battaglie per la liberazione della donna, per i loro diritti, le vere battaglie in nome di un ideale. E in questo modo pensano che sia tutto facile. No, cari ragazzi. La lotta politica è una cosa molto più complicata. Anche la lotta delle donne. Non basta gridare al patriarcato ogni 5 minuti. Non basta scimmiottare il passato. Occorre studiare, capire, inventare, e anche avere tanto coraggio. Le denunce anonime servono a chi ha paura o si vergogna. Chi vuole fare una battaglia la fa senza fazzoletto sul viso.