Furono progressisti
Trattori in piazza, la sinistra non tutela più i lavoratori e irride i contadini
Fa un certo effetto l’aria di indifferenza, quanto non proprio l’aperta ostilità, con cui a sinistra si guarda alla protesta degli agricoltori. E lo fa soprattutto se si compara questo atteggiamento con quello che i progressisti hanno avuto verso le tante proteste degli ultimi anni. Comprese quelle i cui protagonisti si sono resi autori di atti di vandalismo, come imbrattare opere d’arte, e illegalità varie, come occupare immobili privati. In tutti questi casi l’invito era sempre di comprendere e ascoltare le ragioni di chi protestava e spesso delinqueva, a cui si strizzava non uno ma tutti e due gli occhi. Che questo assunto non valga per i contadini, cioè per persone che onestamente si guadagnano il pane con il proprio lavoro, ci dice molte cose. Prima di tutto, di come a sinistra l’ideologia abbia preso completamente il posto del “principio di realtà”: oggi la “giustizia ambientale” è più importante di quella sociale. Per realizzare la prima si mettono in atto politiche dirigistiche, come quella che sta dietro al New Green Deal della Commissione Ue, senza porsi il problema dei costi sociali, che come al solito ricadono sui più indifesi.
D’altronde, penseranno a sinistra, per fare una buona frittata non occorre forse rompere tante uova? Un’idea già ampiamente smentita dalla storia. L’indifferenza della sinistra verso la protesta degli agricoltori ci dice poi come siano drasticamente cambiati i ceti di riferimento dei progressisti, che un tempo erano appunto gli operai e i contadini, che il Partito e il Sindacato si proponevano di organizzare. E ancora negli anni del Sessantotto in ambienti borghesi per accreditarsi si cantava una canzone, Contessa, che faceva appello per “seppellire il sistema” ai compagni “dai campi e dalle officine”.
La retorica ufficiale ci ha detto che gli operai e i contadini tradizionali erano scomparsi. Fra l’altro, l’agricoltura è diventata un’attività a cui certi radical chic si dedicano per darsi un tono e staccare dalla routine cittadina. Apprendiamo ora che si trattava di una verità parziale e che a scomparire era stata soprattutto la capacità della sinistra di tradurre in politica e organizzare una parte non irrilevante di quello che un tempo si chiamava “proletariato”. Di fronte a questa débacle, i contadini hanno deciso di fare da soli: il movimento di questi giorni è impressionante proprio per la capacità organizzativa, e transnazionale. Un fenomeno che la politica seria non dovrebbe sottovalutare.
Questa protesta segna in qualche modo il ritorno al passato, ci riporta nel pieno della modernità, mostrandoci un mondo che i mezzi di comunicazione tendono ad occultare. Ci troviamo di fronte ad un movimento di massa organizzato e con un’idea chiara di cosa vuole. Nulla a che vedere con le suggestioni postmoderne di un ambientalismo di maniera. La vecchia sinistra detestava gli sfoghi sociali che non avevano costrutto: essa opponeva alle masse, che avevano o si stavano forgiando, una loro coscienza di classe, al lumpenproletariat, che considerava una sorta di involontario agente segreto della reazione. Fra le varie proteste, questa dei trattori è quella che più assomiglia a quelle a cui un tempo guardava con attenzione la sinistra. Che oggi sia la destra a sforzarsi di capirne le ragioni è un altro dei paradossi, forse solo apparenti, del nostro tempo.
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