La frustata
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Conciliazione tra famiglia e lavoro, cioè rendere possibile alle donne di essere insieme madri e lavoratrici, magari con un lavoro part-time. È uno dei metodi su cui da tempo si ragiona per risolvere la crisi della maternità in Italia. Ma i dati del 2022 (secondo il Servizio Studi della Camera) sono ancora una volta impietosi: quando la donna diventa madre, in un caso su cinque smette di lavorare, e si unisce a quel terzo di donne che non trovano lavoro neanche prima. L’Italia registra il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa, inanella solo record negativi: neet, part-time involontario, contrattini, poche laureate nelle materie scientifiche, basse retribuzioni.
E ancor più magre pensioni. Alla fine del 2022 l’Italia contava il 55% di donne occupate contro il 69% della media Ue, quattordici punti di divario. E il 18% di questo 55 è costretta a lasciare ilposto quando arriva un figlio. Oltre la metà lo fa perchè non riesce a conciliare la vita di casa con quella al lavoro, il 19% per considerazioni economiche, visto il costo delle babysitter e la scarsità di asili e asili nido. Ci sono 350mila posti in Italia, il28% sul totale dei bimbi sotto i tre anni. L’obiettivo europeo fissato per il 2010 era il 33%, quello per il 2030 è il45%, impossibile da raggiungere nonostante qualche recente stanziamento del governo.
Dopo la pandemia, dice il rapporto, l’offerta nei nidi è cresciuta di 1.780 posti, ma le richieste di iscrizione sono molte di più e rimangono largamente insoddisfatte, soprattutto al Sud: 67% i posti richiesti e introvabili nel pubblico, 49% nel privato. Ma poi quando la donna lavora, anche se specializzata, ecco l’altra discriminazione, il gender pay gap, la differenza nella busta paga, a parità di mansioni, con i colleghi uomini. I dati Inps relativi ai lavoratori nel privato dicono che nel 2022 una donna ha guadagnato in media quasi 8mila euro in meno di un uomo: 18.305 euro contro 26.227. Come si reagisce a queste penalizzazioni? La strategia del governo per la parità di genere si propone di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17% al 10% entro il 2026.
E con il Pnrr l’Europa stabilisce -dal 2026 in poi- che donna e uomo dovranno essere pagati in modo eguale per uno stesso lavoro, e il salario proposto dovrà essere conosciuto prima e non dopo il colloquio, nel quale spesso si valuta se la donna è giovane o no, sposata o no. Ma finora le discriminazioni ancora esistono, e sono pesanti. E vanno calcolate, per le donne, secondo il Servizio studi della Camera, anche «le frequenti interruzioni di carriera, l’occupazione in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici».