Spaccio
Roma, "Narcos" con aereo privato: chi arrestano
Come nella serie televisiva Narcos la cocaina viaggiava a bordo di aerei privati. Un pilota che atterrava in un campo di volo privato nel comune di Nettuno in provincia di Roma, e una fitta rete di vedette e pusher italiani e albanesi, garantivano la sicurezza di rimanere impuniti, ai narcotrafficanti legati ai clan ’ndranghetisti dei Gallace, dei Madaffari e dei Perronace radicati da anni sul litorale romano. I tentacoli della malavita calabrese si erano estesi fino ai Castelli Romani, dove un gruppo di narcotrafficanti albanesi, con alcuni italiani gestivano le piazze di spaccio in alcuni paesi.
Ma ieri mattina 8 novembre, all’alba, i carabinieri del comando provinciale di Roma, con il supporto di quelli di Reggio Calabria hanno notificato dodici ordinanze di custodia cautelare, che hanno posto fine al business che andava avanti da anni.
L’inchiesta, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia Capitolina, denominata "Pilot", è nata dopo alcune intercettazioni telefoniche dell’indagine "Tritone", condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma e che, nel febbraio 2022, aveva smantellato una locale di ’ndrangheta nei comuni di Anzio e Nettuno, dedita oltre che al traffico di sostanze stupefacenti anche al condizionamento della vita politica locale, tanto da portare allo scioglimento per mafia dei comuni di Anzio e Nettuno, e al controllo delle attività economiche e degli affidamenti degli appalti locali. Infatti, durante le indagini era stato accertato che uno degli ’ndranghetisti, in grado di importare ingenti carichi di cocaina dal Sud America, aveva espanso le proprie attività di vendita della coca dai comuni di Anzio e Nettuno ai comuni di Rocca di Papa e Grottaferrata intrecciando qui i propri affari con quelli del sodalizio già esistente che operava ai Castelli.
Le indagini, condotte dai Carabinieri di Via In Selci, nel periodo compreso tra il mese di luglio 2019 e il mese di settembre 2020 con l’ausilio di intercettazioni telefoniche, ambientali e servizi di osservazione, hanno consentito di ricostruire numerose cessioni di cocaina, e di effettuare sei arresti in flagranza di reato come riscontro degli elementi acquisiti. I carabinieri hanno scoperto che per eludere le investigazioni i pusher utilizzavano smartphone criptati, macchine a noleggio, che sostituivano periodicamente per evitare l’ installazione di microspie.
Ricevimenti lussuosi venivano organizzati dagli indagati per festeggiare l’arrivo di carichi di droga e la liberazione degli arrestati. I lucrosi ricavi delle attività di spaccio venivano reinvestiti per l’acquisto di ulteriori partite di cocaina, per il sostegno economico delle famiglie e dei sodali detenuti, che spesso venivano convinti ad assumersi la paternità dello stupefacente ritrovato durante le perquisizioni, nonché nell’acquisto di locali pubblici nella Capitale.