Un gioco pericoloso
Alex Mucci, Shiva e gli altri? Cantanti rap e criminali. E poi ci scappa il morto
Siamo nella settimana di Halloween, una festività di probabile origine celtica che nel corso dell’Ottocento si è diffusa in America in seguito alla grande migrazione degli irlandesi verso il nuovo continente, ove ha poi preso la forma che tutti noi oggi in Italia conosciamo e reimportiamo. È ormai ben nota la tendenza del nostro Paese a far propri spaccati culturali e mode d’oltreoceano, specialmente quando nascano in contesti che si affacciano alla nostra penisola avvolti da un immaginario -non sempre concreto- di status e ricchezza maggiori. Per cui festeggiamo Halloween in una notte che muove un business di quasi 300 milioni in Italia, organizziamo il baby shower per fare il gender reveal del nascituro e ricoprirci di regali... e la nostra lingua si inzeppa di anglicismi, compiendone un abuso che va molto aldilà del naturale fenomeno del prestito linguistico.
È ciò che sta accadendo anche alla scena musicale urban italiana, nota a tutti per essere la trasposizione della cultura hip hop americana - presa appunto nella sua pratica musicale del rap degli anni Ottanta. L’hip hop italiano ed il lancio mediatico del rap nei primi anni Duemila nel nostro paese sono dunque figli delle stesse culture d’oltreoceano di qualche decennio precedente. E fin qui tutto ok. Il problema nasce però ogni qualvolta andiamo ad abusare del prestito culturale, pretendendo di far nostri anche aspetti ancestrali dello stesso a noi distanti.
Un genere musicale - che per anni ha faticato ad uscire dai quartieri dei ghetti newyorkesi a causa dell’emarginazione sociale che circondava gli artisti e nato proprio come antidoto non violento alla guerra tra bande che insanguinava il South Bronx - viene quindi trasposto dai rapper/trapper italiani di oggi insieme a tutto quell’immaginario di lotta tra gang vestite di rosso e di blu che non solo non ci appartiene culturalmente, ma che sta prendendo una piega sempre più tangibilmente rischiosa. Appare chiaro che questi giovani artisti siano oggi più impegnati in un gioco di ruolo il cui scopo sia dimostrare di esseri più real possibili, quelli più all’altezza di ciò che rappano, piuttosto che nella musica stessa.
TEATRINO
Altrettanto chiaro è che proprio questo teatrino delle parti stia creando un modello di realtà totalmente distorta per la massa di ragazzini fanatici del genere. Una realtà dove vige la legge di strada, quella del taglione, del «chi sbaglia paga e se non ti trovo paga la famiglia». Una realtà dove puoi farti giustizia da solo e se spari alle spalle di qualcuno diventi finanche un oppresso caduto nelle “grinfie” dello stato.
Questa è stata la narrazione fatta partire sui social da gran parte della scena rap di rilievo nei giorni scorsi, in seguito alla notizia di Andrea Arrigoni, in arte Shiva, arrestato e condotto in carcere con l’accusa di tentato omicidio per aver inseguito e ferito alle gambe con una pistola due ragazzi che lo avrebbero inizialmente aggredito. I big dichiarano di volersi mantenere distanti dalla faida tra rapper ma invocano la libertà per il giovane collega, giustificandolo e rendendolo martire prigioniero dell’apparato burocratico.
Mentre strabuzzavo gli occhi di madre leggendo tali affermazioni, un mio caro amico mi ha simpaticamente ricordato che anche Vallanzasca aveva un codice deontologico, un’etica criminale che gli impediva di sparare per primo o nella schiena alle persone. Per cui pur volendo mantenere questa ideologia di strada che tutti hanno invocato in difesa dell’artista, pur volendo tragicomicamente restare coerenti con questa dottrina, resta il fatto che il ragazzo non sia una vittima del sistema, ma marionetta di un teatro tutto sbagliato.
Si sta convalidando una cronistoria pericolosissima ed a farlo sono proprio gli idoli più amati dai nostri figli. Qualche mattina fa apro Instagram e mi imbatto proprio nel trapper “rivale” di Shiva, presumibilmente legato ai due aggressori di quest’ultimo nella vicenda sopra descritta, mentre scrive che noi donne/mamme con Onlyfans siamo egoiste in quanto non curanti verso la salute mentale dei nostri figlio futuri tali che avranno -a sua detta- problemi psicologici a causa dal nostro lavoro. Ed allorché mi sia trovata a commentare tale affermazione, sottolineando l’enorme contraddittorietà di chi gioca a fare Gotham City con pistole e rappresaglie nel parlare poi di “cattivi esempi”, ho potuto constatare che gran parte della risposta al mio intervento venisse proprio dalla fascia di utenza tra i 13 ed i 20 anni. Risposta sintetizzabile più o meno così: «Shiva ha sempre ragione e può tutto, tu che sai solo fare i soldi stando nuda devi tacere».
ETICA E SENI
Com’è possibile non vedere una significativa criticità in tutto ciò? Sarebbe forse il caso di smettere di demonizzare le tette e concentrarci su scenari un po più preoccupanti, come questa estrema normalizzazione del banditismo che la scena trap moderna propone ai giovani - per i quali violenza droga e criminalità diventano “comuni” fenomeni di tendenza, al pari del normcore della moda. Cosa aspettiamo, che ci scappi davvero il morto?