Come si cambia

Bologna, cortocircuito-Repubblica: toh, la matrice fascista si può discutere

Tommaso Montesano

Quando si dice l’eterogenesi dei fini. Prendiamo l’analisi con la quale su Repubblica, ieri, lo storico Miguel Gotor delinea lo scenario che fa da sfondo alla “guerra aerea” responsabile dell’inabissamento del Dc-9 Itavia al largo di Ustica. Succede che Gotor attuale assessore alla Cultura del Comune di Roma, docente universitario, già senatore del Pd nella XVII legislatura, autore di eccellenti lavori sul carteggio di Aldo Moro durante la prigionia - per dare sostanza alla rivelazione di Giuliano Amato sul presunto missile contro l’aereo di linea italiano, inquadri doverosamente la vicenda nel «contesto internazionale in cui è maturata». Ovvero l’escalation di tensioni durante la Guerra fredda sul finire degli anni Settanta, quando l’Unione sovietica invade l’Afghanistan nel dicembre 1979. Un innalzamento del livello di guardia che non risparmia il Mediterraneo, con i rapporti tra Roma e Tripoli ai minimi termini.

E qui Gotor mette su carta una considerazione tutt’altro che banale (soprattutto tenendo conto sulla testata nella quale la scrive): «A partire dal febbraio 1980 le relazioni italo-libiche subirono una crisi drammatica culminata con la strage di Bologna del 2 agosto 1980». Lo storico, dunque, mette in relazione l’attentato alla stazione ferroviaria (85 morti e oltre 200 feriti) con il regime del colonnello Gheddafi. Si tratta di un richiamo a quella che nel corso degli anni è stata definita la “pista mediorientale”, e che tira in ballo non già i “fascisti” Fioravanti e Mambro, vero totem della sinistra, ma il fronte arabo-israeliano. Gotor aggiunge anche qualcosa in più. Nello scenario inserisce anche Malta, che dopo la decisione occidentale di installare i missili Cruise in Sicilia diventa improvvisamente centrale. Al punto che per conto della Nato l’Italia riceve il compito di allungare la sua influenza sull’isola per sottrarla alle «mire espansionistiche» di Gheddafi. Altro fumo agli occhi del Colonnello. E altro punto a favore della responsabilità araba per l’eccidio alla stazione, almeno per Gotor.

 

 

«È un dato di fatto», scrive lo storico, «che la bomba di Bologna esplose lo stesso giorno in cui il sottosegretario agli Esteri Giuseppe Zamberletti, plenipotenziario del premier Cossiga (nel 1980, ndr), si trovava a Malta per firmare gli accordi italo-maltesi (politici, militari ed energetici a favore dell’Eni), che rappresentarono un secondo schiaffo in faccia a Gheddafi, dopo il fallito tentativo di ucciderlo a giugno» (nel duello aereo, ndr). Mettendo insieme i pezzi del puzzle, insomma, è indubbio che l’ex senatore dem propenda per la matrice libica più che per quella “fascista”. Niente di male, ovviamente, se non che il giornale che ospita la sua autorevole opinione - Repubblica - è lo stesso che poco meno di un mese fa ha montato una campagna di stampa contro Marcello De Angelis, già responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio, per aver negato le responsabilità dei “neofascisti” Fioravanti e Mambro per la strage alla stazione. Un «oltraggio», per il giornale.

 

 

Vale la pena ricordare un paio di articoli del quotidiano dopo il post nel quale De Angelis metteva in dubbio la verità giudiziaria su Bologna. Domenica 6 agosto, a pagina 5, Repubblica ha pubblicato un’intervista a Giovanni Pellegrino, ex presidente della commissione Stragi. Eloquente il titolo: «Zero dubbi. La manovalanza fascista mise la bomba per Gelli». Quattro giorni dopo è Benedetta Tobagi a stroncare le teorie alternative firmando in prima pagina un commento dal titolo «Non chiamiamo revisionismo le fake news». Tutte le posizioni che negano la responsabilità di Fioravanti e Mambro, infatti, sono «infondate e già ampiamente smentite in decenni di processi». «Oltraggio» e «fake news», però, che ieri sono state rilanciate nientemeno che da un autorevole studioso. Le rivelazioni di Amato sono ormai un caso politico: oggi alle 16,45 Gianni Alemanno, con il suo Forum dell’indipendenza italiana, sarà davanti all’ambasciata di Francia per un sit in: «Vogliamo la verità sulla strage».