Vittoria postuma
Il Premio Strega ci lascia un dubbio: ma quando torna la letteratura italiana?
«Non l’ho letto e non mi piace». Frase attribuita a Giorgio Manganelli e pronunciata dall’editore Vanni Scheiwiller, mi torna utile ogni estate dopo l’assegnazione del Premio Strega. Anche quest’anno, infatti, nessuno dei cinque romanzi giunti in finale rientrano nei miei prossimi piani di lettura, come quasi sempre vorrei aggiungere, con l’eccezione in tempi recenti de La scuola cattolica di Edoardo Albinati (Strega 2016) che arrivare al fondo fu davvero una sfida e il primo M di Antonio Scurati (2019), ma lì a vincere fu il personaggio ben più dello scrittore.
Nel 2023, in particolare, la grande assente è sembrata proprio la letteratura, ormai persa l’attrazione per le storie universali, per quei romanzi costellati di protagonisti e comprimari, di viaggi e ritorni, di avventure e struggenti sentimenti.
Capisco che non siamo più in tempo di massimalismi - a scrivere una storia ad ampio respiro ci provò l’anno scorso Mario Desiati ma già dalle prime pagine si capiva dove sarebbe andato a parare - che gli scrittori rinunciano a raccontare spazi ampi e aperti a tutto vantaggio di un minimalismo domestico dove la drammaturgia si risolve nelle quattro mura di una stanza, però chi ama la letteratura, chi gode nel perdersi tra le pagine ha una sola possibilità, scegliere un autore straniero e sperare gli vada meglio perché qui da noi c’è poco da stare allegri. Anzi.
MECCANISMO
Ha vinto, di misura e c’era da aspettarselo, Ada D’Adamo. Un successo postumo, non il primo (altri tre i casi, Tomasi di Lampedusa con Il gattopardo nel 1958, Maria Bellonci con Rinascimento privato nel 1986, Maria Teresa Di Lascia con Passaggio in ombra nel 1996) per Come d’aria. L’autrice, scomparsa lo scorso 1 aprile, il giorno dopo essere entrata in dozzina, ha battuto la favorita Rossella Postorino di Mi limitavo ad amare te. Successo che ha premiato il lavoro della piccola Casa editrice Eliot ma per il quale non si può non tenere conto del fattore emotivo. Ha vinto, non per il valore letterario. La fine prematura di D’Adamo, che cominciò a scrivere la sua opera prima quando già era colpita dalla malattia, si somma al dramma per il destino della figlia disabile fin dalla nascita. Sono storie terribili, che colpiscono al cuore e alla pancia, notizie che se le leggi sul giornale empatizzi immediatamente con la persona sfortunata, però non bastano a fare letteratura. C’è, piuttosto, il vago sospetto che da parte degli addetti ai lavori, chi decide che tipo di libri funzionano meglio, ci sia la ricerca, se non la voglia, di usare le sofferenze altrui per operazioni di puro marketing somministrate a un pubblico di bocca buona, che mai si impegnerebbe nella lettura di un romanzo “vero”, rarissimo in Italia.
Così troveremo sulle spiagge italiane del 2023 i libri di D’Adamo, Postorino (sfondo la guerra nella ex Jugoslavia), Calandrone (tragico memoir dalle campagne abruzzesi), più difficilmente Canobbio unico maschio in gara, racconta del rapporto con il padre che di per sé è una garanzia ma è troppo lungo - e Petri. Chi se ne intende di letteratura sostiene che il migliore sia l’escluso Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi e infatti me lo sono portato in vacanza avendo intuito che potrei ritrovarci quegli ingredienti necessari a farne un vero romanzo, storico, picaresco, grottesco, qualità della scrittura. Si tratta però di una perla rara nell’ombelicale mondo dell’editoria italiana, a meno di non volersi dedicare al giallo dove siamo diventati un’alternativa credibile alla Svezia (gli ultimi Manzini, Cassar Scalia ad esempio) o a qualche rarità particolarmente riuscite come Oro puro di Fabio Genovesi di cui abbiamo già parlato su queste pagine oppure La ricreazione è finita di Dario Ferrari, se non alla riscoperta di autori mai letti dei decenni precedenti che, per una ragione o per l’altra, trascurammo a vantaggio della curiosità e dell’attualità da premio.
LEZIONI
La vera letteratura in Italia latita. Di chi la colpa principale? Di autori senza ispirazione, di editori che spingono sull’autofiction che più tragica è meglio è, di lettori che tra lo sforzo e la commozione scelgono sempre quest’ultima? Tocca rivolgersi ancora una volta agli scrittori stranieri per provare emozioni autentiche e farsi sommergere dal piacere vero della lettura. Chi non l’avesse ancora affrontato, scelga Lezioni di Ian McEwan, che di solito scrive un libro buono su tre e questo è quello giusto. Basteranno poche pagine per capire la differenza tra un memoir commovente e l’ambizione alla letteratura.