Roma choc

Casal Palocco e gli youtuber? Maledetta Rete, maledetti certi genitori

Corrado Ocone

"Dio è morto”, annuncia profeticamente lo Zarathustra di Nietzsche. E non si riferisce solo al Dio dei cristiani, ma a quell’universo di valori trascendenti che dà un senso e un valore anche alla nostra vita immanente. La quale, senza di essi, si riduce ad incubo e vale meno di una moneta bucata. Quell’incubo si è materializzato l’altro giorno sulle strade di Casal Palocco, quartiere un tempo ricco e pretenzioso della periferia sud di Roma e che oggi trasmette già solo a vederlo il nulla di senso, il vuoto, di una modernizzazione affrettata e slegata da ogni contesto urbano. Una civiltà che non ha più il cives, il cittadino, al suo centro. E una comunità che non è tale perché è fatta di vite isolate e sole che la cercano là dove non può esserci: non nel vitale rapporto che lega i singoli agli altri di cui parlava ieri su queste colonne Giovanni Sallusti, bensì nell’effimero ed etereo, virtuale, spazio di una community (ove l’inglesismo non a caso fa perdere tutta la pregnanza del corrispondente termine latino). Tanto più quella sciocca degli youtuber e in giro per la rete ce ne sono tanti. Troppi.

 

 


Ma ciò che più sconvolge sono i particolari che a poco poco emergono e rendono ancor più assurda l’intera vicenda, interrogandoci sul limite raggiunto e sorpassato non solo da questi “delinquentelli” di periferia benestante ma forse da una parte non consistente di tutta la nostra società. Mi riferisco non solo e non tanto alla reazione degli youteber che - come riportato da testimoni - continuavano a filmare dopo la vicenda, del tutto dissociati da ogni confine fra reale e virtuale, ma soprattutto a quella dei loro genitori accorsi sul posto. Del tutto inconsapevoli dimentichi delle proprie responsabilità genitoriali e della dannazione che da oggi dovrebbe sconvolgere anche le loro vite, si è appreso sempre da testimonianze riportate puntuali dalla stampa - che costoro hanno non maledetto e redarguito i propri figli ma hanno fatto del tutto per tranquillizzarli.

Si sarebbero permessi addirittura di derubricare l’accaduto ad una semplice “bravata” che si sarebbe presto risolta e presto dimenticata. Quasi come una giovane vita spezzata non per casualità ma per dolo evidente fosse solo un trascurabile “effetto collaterale” di un gioco che è andato solo un po’ storto. Non vogliamo qui trarre conclusioni semplici, o fare del facile sociologismo, ma come non vedere in questo atteggiamento il risultato proprio di quella “morte di Dio” che ha ridotto la famiglia a un semplice contratto tribale e ha stabilito che il principio stesso di autorità su cui essa si fonda si riducesse ad un democraticismo esibito e ostentato che deresponsabilizza tutti e che fa dei genitori degli amici e compagni “innaturali” dei propri figli?

 

 

 

Ove tutto è eguale prevale l’uomo indifferenziato che non è né uomo e né donna, né padre e né figlio. Qui l’eredità morale da trasmettere si converte in un infantilismo amorale diffuso. Che fare? Non è semplice rispondere perché la “morte di Dio” non si può contrastare se non con un lavoro di lunga lena sulle coscienze. Forse soltanto un Dio potrà salvarci, per parafrasare un altro celebre filosofo, Martin Heidegger. Nel frattempo, a noi tocca creare nel nostro piccolo “sacche di resistenza” all’andazzo dei tempi. Quanto allo Stato, sia esso ad assumere su di sé, con leggi severe e giuste, il compito di sanzionare questi comportamenti e rendere complicato il loro manifestarsi. Le prime mosse del governo e soprattutto gli impegni del ministro Salvini sulla sicurezza stradale sono una garanzia. Si abbandonino certi pedaogismi e psicologismi con cui la sinistra ha infettato il dibattito in questi anni. Non di psicologismi assolutori e buonisti, ma di una sana educazione e di uno Stato che non deroghi ai propri compiti è ciò di cui hanno bisogno i giovani e che è nostro dovere dare loro.