Il lemma

Mostro, dopo Senago: le origini della parola, non solo le peggiori nefandezze

Massimo Arcangeli

«Sei un mostro», a seconda della situazione, può riferirsi a una persona orribile, capace delle peggiori nefandezze, oppure a chi spicchi per determinate capacità o palesi un’intelligenza fuori dal comune. Per entrambe le accezioni l’italiano mostro ha tratto beneficio dal latino monstrum, detto di fatti, eventi, fenomeni, ecc., strani, portentosi o irragionevoli, oppure riferito a entità animate o inanimate paurose, aberranti o inquietanti per l’aspetto (informe, composito, deforme) o dalle dimensioni straordinarie o inusitate: una creatura del mare o il mitico cavallo di Troia. Monstra dicere (Cicerone), “raccontare cose incredibili”, e omnia monstra facere (Catullo), “ingigantire, esagerare”, che potremmo rendere nella nostra lingua fare di una mosca (o una pulce) un elefante, sono due delle tante locuzioni latine contenenti monstrum, che condivide con altri termini (da ostentum a prodigium) l’appartenenza al dominio magico-religioso dell’arte della divinazione.

Alla sua base c'è il senso o il valore di un segnale o di un avvertimento: la radice di monstrum, uno scherzo del destino anche sul piano formale – il modello compositivo, lo stesso di lustrum, una tana, un bordello o un sacrificio, è inusuale –, è la stessa del verbo monere (“ammonire”, “avvertire”). 

 

Mostro è un termine documentato già in opere due-trecentesche, dalla Composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo fino alla Commedia dantesca: «’l dificio santo / mise fuor teste per le parti sue, / tre sovra ’l temo e una in ciascun canto. / Le prime eran cornute come bue, / male quattro un sol corno avean per fronte: / simile mostro visto ancor non fue. / Sicura, quasi rocca in alto monte, / seder sovresso una puttana sciolta / m’apparve con le ciglia intorno pronte» (Purgatorio XXXII, 142-150). Ci troviamo nel Paradiso Terrestre. Il mostro in cui si è trasformato il carro (dificio) della Chiesa corrotta, figurata come una seduttiva meretrice in abiti discinti (puttana sciolta), è la bestia scarlatta descritta nell’Apocalisse (17, 3; 17, 7; 17, 9). Con sette teste e ben dieci corna, è ricoperta di nomi blasfemi e porta su di sé Babilonia, considerata la madre di tutte le prostitute.